«Nessun morto di coronavirus in Italia»? Facciamo chiarezza

Il dottor Bassetti, direttore di Malattie Infettive al San Martino, sinora le ha azzeccate tutte, ma ieri ha fatto una dichiarazione che ha fatto discutere: proviamo a spiegarvi cosa significa

«Nessun morto di coronavirus in Italia»? Facciamo chiarezza
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Matteo Bassetti, primario e direttore della clinica di Malattie Infettive del San Martino di Genova e presidente della Società italiana di terapia anti-infettiva, sinora le ha azzeccate tutte sul Coronavirus: ha mantenuto la calma sin dall’inizio, e sin dall’inizio ha cercato di contestualizzare l’overdose di dati e informazioni sull’epidemia di Covid-19 spiegando più volte che si tratti di un fenomeno più nell’ordine di grandezza di una (particolarmente brutta) influenza che non di “peste bubbonica” come certi allarmismi – giornalistici e non – hanno fatto sembrare. Dalle ultime notizie che arrivano da Germania e Francia pare averci azzeccato anche quando spiegava perché, verosimilmente, il picco di casi registrato in Italia fosse prevalentemente attribuibile al mero fatto che siamo stati sinora gli unici a metterci a fare tamponi a tappeto: «Semplicemente, se lo cerchi lo trovi», ha spiegato, cercando di rassicurare ma al contempo far realizzare quella che ormai è un’evidenza: il Coronavirus è qualcosa con cui dovremo imparare a convivere, ormai in circolazione, e presumibilmente da parecchio.

Alcune di queste dichiarazioni – scientificamente corrette ed in linea con tutti i dati ufficiali, dell’OMS e degli studi epidemiologici sin qui effettuati – gli sono costate care: insulti, minacce, persecuzioni diffamatorie sui social, talvolta alimentate anche dalle casse di risonanza di altri colleghi che si sono espressi con toni molto più allarmistici. Ieri però, in un’intervista alla stampa genovese, Bassetti è andato anche “oltre”, arrivando a dichiarare che «In Italia non c’è neanche un paziente morto per il coronavirus»: ha ragione? Cosa significa di preciso? È realismo o “negazionismo”? Proviamo a spiegarlo (e, a scanso d’equivoci, sottolineiamo che lo facciamo esclusivamente dopo verifica ed opportune precisazioni suggerite da un dottore in epidemiologia e biostatistica).

«Nessun morto di coronavirus in Italia»?

Bassetti ha giustificato con un paio di esempi molto semplici questa affermazione: «Quando uno entra in ospedale con un infarto e muore, ed aveva il coronavirus, non è morto per il coronavirus, è morto per l’infarto». E ancora, cita un caso del lodigiano nello spiegare che «se uno viene trovato a casa morto, e risulta positivo al virus col tampone post mortem, come fai a dire sia morto per colpa del coronavirus»? Bassetti cerca di tranquillizzare e invita a non prendere troppo alla lettera i «bollettini di guerra». Eppure i numeri ufficiali ci dicono che in Italia ci sono stati 12 morti ascritti al Covid-19: Bassetti sta forse negando i dati ufficiali? No. E vi spieghiamo perché.

L’epidemiologia non si fa su Facebook… e nemmeno precocemente

Non solo allenatori, esperti di flussi migratori, di vaccini, un po’ di tempo fa di trivelle e sino “all’altro giorno” di musica leggera italiana: oggi gli italiani si sono tutti svegliati epidemiologi. Ed è guerra fra “fazioni”, fra chi dipinge questa epidemia con tratti apocalittici, facendosi forte di certi numeri decontestualizzati, e chi ne nega ogni pericolosità paragonandola all’influenza, usando altri numeri decontestualizzati. Ed ecco, proprio questo ossessivo paragone con l’influenza ci permette di spiegare cosa suggeriscono le parole di Bassetti.

Innanzi tutto, quando si parla di “banale” influenza, non si sta parlando di una malattia poco seria: ogni anno il picco influenzale costringe i nostri ospedali ad approntare unità di crisi, sospendere le operazioni chirurgiche e i ricoveri programmati, per liberare posti letto. L’influenza, che colpisce oltre 5 milioni di italiani ogni anno, all’anno causa qualche centinaio di morti “direttamente” e, in media, circa 8mila per le complicazioni correlate (dati ISS). Siamo dunque all’incirca tra lo 0,1 e lo 0,2% di tasso di letalità (rapporto fra numero assoluto di malati e morti). Quando gli esperti come Bassetti spiegano che siamo di fronte a un fenomeno più paragonabile all’influenza che al potenziale della SARS (che aveva un tasso di letalità del 10%) o della MERS (33%), non lo stanno sottovalutando: lo stanno mettendo nelle sue oggettive, pur indiscutibilmente serie, proporzioni.
Del nuovo coronavirus abbiamo dati molto parziali, per forza di cose, e ad una letalità alta nella provincia dello Hubei (tra il 3 ed il 4%, dove il sistema è andato al collasso ed ha faticato a rispondere all’emergenza), nel resto della Cina e del mondo, dove i servizi sanitari hanno avuto il tempo e le risorse per intervenire efficacemente, concentrare i malati in poli ospedalieri d’eccellenza etc, questo tasso è stato sensibilmente più basso. 0,5% secondo l’ultimo grande studio del CCDC: ma si tratta di un campione ancora piccolo, di poche migliaia di casi, potrebbe non essere statisticamente affidabile, in quanto basta poco per farlo sensibilmente variare. Si mettono infatti le mani avanti e, ad oggi, gli studi ufficiali ipotizzano un tasso di letalità fra l’1 ed il 2%, ma come sempre accade questo sarà inversamente proporzionale alla capacità di risposta dei sistemi sanitari (è la ragione per cui una stessa malattia può essere a letalità virtualmente zero in Italia, e fare stragi in Africa). Saremmo dunque sicuramente a numeri più alti di quelli dell’influenza, ma presumibilmente non proprio a interi ordini di grandezza di differenza.

A questi numeri infatti si devono anche aggiungere numerose altre incertezze e variabili: come il fatto che si è sempre stimato vi fossero molti più malati di quanti rilevati, anche nell’ordine di un fattore 10, che restano mascherati proprio dai numeri attribuiti al normale andamento influenzale. E che in Italia, come spiegava Bassetti, hanno cominciato ad emergere proprio perché abbiamo cominciato a cercarli. È del resto una fondamentale componente del motivo per cui non siamo riusciti a contenerne la diffusione come eravamo riusciti a fare con altri coronavirus: paradossalmente, proprio perché molto più letali, i focolai di SARS e MERS si potevano notare molto precocemente, permettendo di isolarli per tempo. Se così fosse, dunque, significherebbe che ci sono molti più malati di quanto i numeri ufficiali ci abbiano detto sinora, e gran parte di questi sono rimasti “occulti” proprio perché con sintomatologie lievi: questo farebbe crollare il tasso di letalità reale del Covid.

E ancora, per l’appunto quello che ha ieri spiegato Bassetti: al momento, e per ovvie ragioni, conteggiamo assolutamente qualsiasi positivo come morto “per il coronavirus”, ma come già assodato gran parte dei pazienti critici e morti di queste settimane erano anziani e compromessi da preesistenti patologie. Quando facciamo i paragoni con l’influenza, ci dimentichiamo che in essa non conteggiamo così “draconianamente” ogni anziano, magari ricoverato per un cancro terminale, morto mentre aveva anche in corso un’influenza. Fermo restando che la concomitanza di una sindrome influenzale – così come anche di una forma magari pur blanda di Covid-19 – ovviamente complica il quadro clinico di un malato, aggiungendo stress ad un organismo già debilitato, ed è inevitabilmente un fattore da tenere in considerazione. Dettaglio questo che sicuramente non sfugge a Bassetti, ma gli esempi che ha fatto non hanno potuto che esser brevi, sommari e concisi: proprio per questo, per evitare possano essere equivocati, abbiamo voluto proporvi questo approfondimento.

“Non fatevi prendere dal panico… e portate un asciugamano”

Questi paragoni 1:1 fra numeri e patologie dunque, ad oggi, hanno poco se non nessun senso, sia che li facciamo con l’intenzione di “sminuire” l’epidemia, o per fare allarmismo. I numeri reali li avremo davvero solo ad emergenza finita, in un modo o nell’altro, per il momento si possono solo fare proiezioni – e le possono fare solo gli esperti, gli epidemiologi, non noi nei nostri litigi su Facebook – e quello che fanno gli esperti come Bassetti: parlare di ordini di grandezza, senza fare arbitrarie, lineari e miopi operazioni con la calcolatrice su numeri decontestualizzati.

E parlando di ordini di grandezza siamo per l’appunto di fronte ad un fenomeno serio, che avrà un prezzo, ma proprio come dice Bassetti affrontabile come ne abbiamo affrontato, vincendo, anche di ben peggiori in passato. Forse “negare” in toto che il coronavirus abbia sinora causato alcun morto in Italia è anch’essa un po’ un’iperbole, ma è un ragionamento per quanto vi abbiamo esposto con un suo fondamento, e volto alla cosa più importante di tutte: non permettere al panico di diffondersi. Perché, come vi abbiamo accennato, la letalità di una malattia è proporzionale alla capacità di intervento del sistema sanitario; «Il sistema va in tilt se noi andiamo in tilt», ha infatti sottolineato il dottor Bassetti, e questo è il punto focale di tutto: evitare che il panico porti al collasso delle strutture sanitarie, dei numeri di emergenza intasati da chiamate superflue, e via dicendo. Tutte cose che possono provocare morti: forse più di quanti ne potrà mai provocare questo maledetto virus.

Cerchiamo dunque di seguire il saggio e proverbiale consiglio della Guida Galattica per Autostoppisti, non facciamoci prendere dal panico. E non diamo retta a chi per strumentalizzazione politica, rivalità, interesse personale, ricerca di visibilità o di lettori – ci mettiamo dunque dentro decisamente anche la nostra categoria, quella dei giornalisti, del cui scarso senso di responsabilità e tendenza allo sciacallaggio mostriamo qui a fianco una lampante “diapositiva” – soffia sul fuoco dell’allarmismo.

Affidiamoci alle Istituzioni ed alle Autorità Sanitarie, ai servizi di informazione e monitoraggio che sono stati messi a disposizione, e nel frattempo, nei limiti della ragionevolezza ed evitando inutili imprudenze, continuiamo a vivere la nostra vita quotidiana. Forse è vero, errori si sono commessi anche tra le Istituzioni, ma non è questo il momento per dividersi e farci sopra campagna elettorale: abbiamo un’emergenza sanitaria da affrontare uniti, con consapevolezza senza sottovalutazione. Per tornare a scannarci fra “tifosi” come tanto ci piace abbiamo tutta la vita davanti.

 

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