Strage senza fine

Noi4You parla la psicologa"Nella violenza di genere non esistono mostri, ma casi clinici"

Intervista a Guendalina Donà, psicologa dell'Associazione Noi4You

Noi4You parla la psicologa"Nella violenza di genere non esistono mostri, ma casi clinici"
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Intervista a Guendalina Donà, psicologa dell'Associazione Noi4You

"Nella violenza di genere non esistono mostri, ma casi clinici"

103 donne uccise dall’inizio dell’anno, 1 ogni 3 giorni. Un numero che fa venire i brividi. Sul territorio nazionale tante le associazioni che da anni sono pronte ad ascoltare e a sostenere le donne vittime di violenze.
Abbiamo intervistato la psicologa Guendalina Donà dell’associazione Noi4You per cercare di capire meglio questa vera e propria emergenza sociale.
Buongiorno dottoressa, qual è il suo ruolo all'interno dell'associazione e da quanto tempo lavora allo sportello Noi4You?

«Noi4You è un’associazione che opera come sportello antiviolenza e di prevenzione contro qualsiasi fenomeno legato ad essa. Lo sportello è nato nel dicembre 2014 grazie all’architetto Laura Tibald e alla psicoterapeuta dottoressa Patrizia Sciolla ed è composto da soli volontari. Il mio ruolo è quello di psicologa – psicoterapeuta insieme alle colleghe dottoresse Patrizia Sciolla, Serena Suraci e Martina De Vito. Inoltre abbiamo l’ausilio di avvocatesse Maria Giovanna Svara e Sara Bogni e preziose volontarie che si occupano di sostenere in vari ambiti le donne che aiutiamo. Operiamo nella zona tra Bordighera e Ventimiglia, aiutando le donne vittime di violenza e portando avanti molti progetti di prevenzione nelle scuole, dalla primaria alle superiori».

Dottoressa Donà, il 25 novembre è stata la Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne. In Italia siamo al 103° femminicidio del 2023. Cosa ci dicono questi drammatici numeri?

«Questi numeri dovrebbero farci comprendere il tasso elevatissimo di disturbi mentali dai quali sono affette sia le vittime che i carnefici. Queste problematiche hanno un nome ben preciso che non è mostri o angeli ma è: Disturbo Dipendente di Personalità. Finché non si capirà questo e non si farà sia prevenzione (già dalla giovanissima età) sia aiuto in tempi giusti, questi numeri non avranno un senso. Ci sarà solo l’indignazione di qualche settimana per l’ultima vittima e, dopo, altre indignazioni per le prossime. Questi numeri sono il termometro di gravi disturbi troppo poco conosciuti o troppo sottovalutati. È più semplice ed immediato dire “bestie”, “mostri” e quant’altro. Ci permette di non fare lo sforzo di capire, riflettere e mettersi in dubbio. Ci permette di spostare la colpa su altri come se non si potesse far nulla, ci de-responsabilizza e sposta le paure su altro o altri. Queste problematiche sono legate, oltre al Disturbo Dipendente di Personalità, anche al Disturbo Narcisistico di Personalità. Quest’ultimo non si traduce nel post su Facebook dove non si sa cosa comporta questo disturbo. Si traduce fra le caratteristiche più gravi in un totale mancanza di empatia che fa sì che le persone siano trattate come oggetti e disumanizzate. Per questo tengo a far comprendere che la pericolosità sta nel disturbo e nient’altro».

Il vostro sportello si occupa di assistenza e di prevenzione. Qual è la situazione nella nostra provincia?
«Come le accennavo, noi ci occupiamo della zona compresa tra Ventimiglia e Bordighera e di conseguenza le posso fornire i dati relativi al nostro operato che purtroppo rendono già bene l’idea di come in una piccola parte della provincia di Imperia ci siano numeri molto alti. Dal dicembre 2014 ad oggi abbiamo assistito circa 200 persone: 196 donne e 4 uomini. Hanno chiesto aiuto allo sportello contattando il numero di reperibilità h 24 gestito da una nostra volontaria. Di queste oltre 180 sono state successivamente seguite per lungo tempo da noi psicologhe, dalle legali e dalle volontarie. Dopo la “pausa forzata” a causa del Covid le richieste di assistenza sono riprese senza accennare a diminuire. Quando parlo di pausa forzata non intendo dire una pausa della nostra attività ma intendo dire che purtroppo con il lockdown le donne hanno avuto meno possibilità di chiedere aiuto perché bloccate con i compagni o mariti che potevano controllarle molto di più senza alcuna conseguenza».

In termini di numeri ci fa un confronto rispetto agli ultimi anni?«Nel corrente anno sono state prese in carico 15 utenti. I numeri sono molto altalenanti sia per ciò che le dicevo nella precedente domanda parlando del periodo Covid, sia per il sommerso che è molto ampio. In generale il numero appare leggermente superiore a quello del 2022 ma le direi che siamo sempre su numeri alti ma tristemente regolari. Probabilmente c’è una percezione di aumento anche per la crescente attenzione. Ma mi riferisco a ciò che conosco nella mia zona chiaramente».
Il "Codice Rosso" sta dando i suoi frutti in termine di denunce? Quale target di donne denuncia nella nostra provincia?
«Il Codice Rosso viene applicato celermente nei casi di estrema emergenza, talvolta in flagranza di reato. È uno strumento molto utile e ben applicato che permette di allontanare l’aggressore e mettere in sicurezza le donne e i figli. Purtroppo non è applicabile quando una donna trova la forza di denunciare dopo mesi o anni e, anche se la situazione è di grave pericolo, il codice rosso non si può applicare poiché non è un pericolo “imminente”. Anche le forze dell’ordine su questo sono impotenti. Per applicarlo con efficacia a livello legale ci si deve trovare al limite della tragedia sfiorata per capirci. Le donne che si rivolgono allo Sportello Noi4You sono quasi sempre italiane, ma abbiamo avuto alcune donne originarie dell’Europa dell’est e qualche donna di nazionalità francese. L’età media è sui 35-40 anni, tante sono donne senza lavoro o non in grado di mantenersi totalmente. Altre invece lavorano e funzionano bene in tanti ambiti della vita, ma sono comunque in gravi difficoltà emotive e cadono vittime di persone (come torno a sottolineare) molto disturbate che le manipolano facilmente».
Quali sono i primi segnali ai quali le donne devono fare "caso" per capire chi hanno davanti?
«Sento parlare di “segnali da capire” da anni mentre non ci si domanda mai quanto sia errato questo concetto. È un concetto senza senso perché non ci si accorge di quanto sia malata una società che non sa ancora che la base dei cosiddetti segnali è il rispetto degli altri esseri umani. Credo che dobbiamo chiederci cosa è il rispetto, quale concetto di rispetto passiamo ai figli, quale empatia trasmettiamo. Concettualmente non c’è differenza tra chi picchia un clochard per strada e chi picchia una donna, sono comunque esseri umani. La persona che pensa di potersi arrogare il diritto di fare ciò che vuole di un’altra persona è un individuo che non ha potuto sviluppare l’empatia che ci permette di trattare gli altri come esseri umani e non come oggetti di proprietà da usare a piacimento. È un concetto base della salute mentale e dell’equilibrio psichico delle persone, per questo motivo la “guida ai segnali” è senza senso e non servirà mai a nulla. Anche sui pacchetti di sigarette c’è scritto “il fumo uccide”, funziona il messaggio?»
Perché molte donne non denunciano nonostante i ripetuti appelli?
«È vero, malgrado i ripetuti appelli le donne non denunciano ancora abbastanza. La maggior parte ha timore perché dopo la denuncia, senza un posto dove andare rimarrebbe in casa con il denunciato. Molto spesso la situazione a livello istituzionale non viene compresa e viene scambiata per qualcosa di minor gravità di quanto in realtà sia. Ciò perché le violenze psicologiche non sono considerate adeguatamente per la loro gravità molto più spesso di ciò che si pensa. Qualche donna però ce la fa con il sostegno adeguato. Abbiamo avuto anche chi ha trovato il coraggio ricominciare una nuova vita senza più voltarsi indietro».
Lo Stato, le istituzioni sono in grado di "proteggere" la donna vittima di abusi fisici e psicologici dopo che questa denuncia?
«Purtroppo lo Stato non è ancora in grado di assumersi il carico della protezione prima e dell’aiuto poi nel lungo termine delle donne che cercano di uscire da queste gravi dipendenze affettive, che, in quanto dipendenze hanno bisogno di lungo tempo per guarire. Ci sono pochissime strutture ospitanti ed essendo questo il primo passo per allontanarsi dal pericolo, si parte già in salita. Quando comunque le donne riescono a liberarsi dei compagni violenti sono i comuni, con tutte le fatiche del caso, a farsi carico dell’aiuto. Infatti come Sportello abbiamo una stretta collaborazione con i servizi sociali che intervengono a ci aiutano in ogni modo possibile».
Da psicologa che idea si è fatta della società in cui viviamo? Qual è il tassello che manca e che porta a commettere gesti violenti per un "No" o per "futili motivi".
«Come le accennavo poco fa, alla società e alla politica fa comodo non andare all’origine della psicopatologia ma additare le persone che commettono reati gravissimi come degli esseri mitologici usciti dal cappello di un mago per puro caso. Il raptus (che clinicamente non esiste) fa comodo per dire che quella persona si è svegliata una mattina e ha ucciso perché odiava il vicino di casa. Capisce bene che se fosse vero saremmo tutti in galera. Mentre mettersi in dubbio come genitori, educatori, insegnanti, allenatori ecc ecc è faticoso e scomodo. In più, dato che sia le vittime che i carnefici, arrivano da famiglie molto disfunzionali, queste ultime non sono consapevoli del terreno fertile patologico in cui sono cresciuti i figli. Senza ipocrisia alcuna, ogni collega le potrà confermare che una persona che commette reati gravi (compresa la protratta violenza psicologica) ha un disturbo di personalità che origina da disagi gravissimi pregressi già in giovanissima età. E attenzione, questa è una spiegazione clinica e non una giustificazione. Non è una giustificazione poiché quell’uomo, se non verrà curato per lunghi anni, rifarà all’infinito con decine di donne ciò che ha fatto con altre. Ma essere onesti è spiegare clinicamente un fenomeno per ciò che è senza giustificarlo ma prendendosi delle responsabilità, a volte anche collettive».
In questi giorni si parla di un decreto legislativo che si basa per lo più sulla prevenzione anche nelle scuole. Pensa possa essere un aiuto importante?
«La Prevenzione è sicuramente la strada migliore e per questo la nostra associazione da anni porta avanti nelle scuole progetti finalizzati alla cultura del rispetto. Ho sempre riscontrato molta attenzione e voglia di capire da parte dei ragazzi ma ricordiamoci che dopo la scuola tornano a casa. Un insegnante o uno psicologo che porta avanti un progetto non sarà a casa con la ragazza che dice ai genitori “non vado a ballare con le amiche perché a lui da fastidio”, a insegnarle che questa è patologia deve esserci un genitore sano. Quindi attenzione a non delegare ad altri l’educazione dei figli. I ragazzi bisogna conoscerli, parlargli, sapere cosa pensano, come stanno e insegnare loro a rispettare se stessi. Bisogna anche dare un grande esempio, le parole senza esempio sono buttate al vento. Se un adolescente vede, da sempre, genitori che si insultano e si mancano di rispetto e che poi gli dicono che deve essere gentile con la propria fidanzata, provi ad indovinare in futuro cosa farà quel ragazzo?»

 

 

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