"Bordighera e Ventimiglia sono l'esempio della 'ndrangheta in Liguria"
Così sostituto procuratore Luca Traversa, di Savona, che ha partecipato all'inaugurazione della fontana per Dodò nell'ex villa dei Pellegrino
“Bordighera e Ventimiglia sono l'esempio della ‘ndrangheta in Liguria e non posso tollerare, quando mi si dice che non ci sono più certe cose. Qui c'è la ‘ndrangheta autoctona, quella vera, ci sono: la botola, l’agrumeto, San Michele Arcangelo, i santini, i riti di affiliazione. Ancora possiamo tollerare che si metta in discussione il fatto che la ‘ndrangheta al nord esista, prosperi e viva in mezzo a noi”.
Sono queste le parole del sostituto procuratore Luca Traversa, di Savona
che stamani, in via Cornice dei due Golfi, a Bordighera, nella villa sequestrata alla famiglia Pellegrino, è intervenuto all’inaugurazione della fontana intitolata a Dodò, il cui vero nome era Domenico Gabriele, ucciso in Calabria nel 2009, all’età di 11 anni, durante una sparatoria di stampo mafioso. All’evento c’erano, tra gli altri, anche il procuratore di Imperia, Alberto Lari e Maura Orengo dell’associazione Libera.
“Ci sono persone come Maura (Orengo, ndr), che da anni, da anni, con un grande ruolo di responsabilità, opera in questa terra di confine, profondamente infiltrata - ha aggiunto Traversa -. Cosa che, mi pare, venga ancora messa in discussione, nonostante sentenze definitive, che hanno accertato la presenza della ‘ndrangheta in Liguria”.
Il magistrato Lari ha puntato l’attenzione sul sequestro e la confisca dei beni
“Lo Stato deve prendersi l’impegno dei beni confiscati, perché è un’altra della armi in mano alla mafia: lo stato confisca il bene e poi il bene non viene utilizzato e quindi a questo punto lo Stato ha fallito e il mafioso dice ‘vedi che quando ce lo avevo io veniva utilizzato mentre poi lo Stato lo lascia andare a rotoli’. E questo soprattutto accade nelle attività commerciali".
Il procuratore porta un esempio
“Mi è capitato spesso, che quando sequestravamo dei beni, l’attività commerciale gestita dal mafioso andava benissimo e l’attività poi gestita dallo Stato, no. Poi la differenza salta all’occhio. E’ evidente: il mafioso la gestisce con i capitali che arrivano dall’illecito, può investire, reinvestire. Lo Stato ha pochi capitali e quindi è ovvio che l’attività si faccia più difficile”.
"Quindi lo Stato deve fare uno sforzo nella gestione dei beni confiscati. Ha creato un’agenzia assolutamente insufficiente. Una delle cose che lo Stato deve fare in futuro è darsi più da fare per far sì che il bene confiscato alla criminalità organizzata venga gestito nel modo migliore per lanciare un messaggio forte".
Così prosegue l'intervento del sostituto procuratore Traversa
“Studiavo i loro processi, però non ero mai venuto qua, salvo il giorno della sentenza in Tribunale d'Imperia. Io sapevo molto dei Pellegrino, diciamolo, dei Pellegrino, perché qui abitavano queste persone. Queste persone, Maurizio in particolare, sono stati condannati per il favoreggiamento di un ‘ndranghetista, detenzione di stupefacenti, la detenzione di armi, usura, estorsione, associazione di tipo mafioso. Forse mi sto dimenticando ancora qualcosa".
"Questa è la ragione per cui oggi siamo qua. Non è che lo Stato confisca i beni per un atto di, così, prevaricazione, ma nella misura in cui vengono accertati in via definitiva, perché qua si tratta di confische post-condanna, perché sono confische previste dal 416 bis, in presenza di un accertamento della responsabilità per reati gravissimi. Vi racconto solo l'episodio dell'agriturismo di Seborga, perché venendo giù ho visto il cartello Seborga. A Seborga accade che una persona aveva bisogno di soldi, come capita a molti e aveva cercato credito in banca e non l'aveva trovato. Allora chi si rivolge alla famiglia che abitava qua, riceve soldi".
"Naturalmente gli chiedono in cambio interessi altissimi, che non riesce a ridare. Allora a un certo punto Maurizio va da lui e dice ‘benissimo, non puoi ridarmi soldi? Allora l'agriturismo è mio’. Il povero albergatore, diciamo, verrà colpito con una mazza da baseball e a questa scena assiste la cuoca, che casualmente era lì. Durante il processo alla cuoca verrà chiesto, raccontaci quel giorno cos'è accaduto, cos'hai visto. Cosa fa secondo voi questa cuoca? All’inizio, non dice niente ‘non c'ero, non ricordo’. Poi viene incalzata, incalzata, incalzata, piange. E alla fine racconta l'episodio. Per questo dico che qui avevamo la ‘ndrangheta autoctona, perché c'è la violenza, perché c'è la prevaricazione, perché c'è l’omertà".
"Anche perché, mi spiace dirlo, ma il figlio di uno dei condannati nella svolta è stato condannato per omicidio. Un'esecuzione, un colpo secco in testa e giustamente il mio collega Alberto Lari aveva mandato il fascicolo alla dda di Genova, dicendo guardate che qui c'è l'aggravante del metodo mafioso. Non è un omicidio e basta. Poi, purtroppo l'aggravante è caduta, dobbiamo dirlo. Ma questi sono problemi tecnici che rilevano fino a un certo punto. Le dinamiche sono queste in questo territorio”.
Fabrizio Tenerelli