LE MOTIVAZIONI

Furbetti del cartellino: il giudice Luppi smonta le accuse e parla di carenze investigative

Il gup Paolo Luppi ha pubblicato le motivazioni alla sentenza che il 20 gennaio scorso assolveva dieci impiegati del Comune di Sanremo dall'accusa di truffa

Furbetti del cartellino: il giudice Luppi smonta le accuse e parla di carenze investigative
Pubblicato:

Furbetti del cartellino

Il gup Paolo Luppi di Imperia ha pubblicato le motivazioni alla sentenza che il 20 gennaio scorso assolveva dieci impiegati del Comune di Sanremo dall'accusa di truffa ai danni dello stato per l'infedele timbratura del cartellino, formalizzando sedici patteggiamenti e altrettanti rinvii a giudizio.

Era la cosiddetta inchiesta dei "furbetti del cartellino", che culminò con 270 indagati la notifica di 32 misure cautelari. Nelle 316 pagine di motivazioni, Luppi smonta l'accusa sottolineando una serie di errori o gaffe giudiziarie. Come quella riguardante il vigile Alberto Muraglia, assorto agli onori delle cronache internazionali, per aver timbrato il cartellino in mutande ed essere rientrato in casa.

"In conclusione - scrive ad esmepio il giudice - ribadendosi, anche se ovvio, che spettava al pm l'assenza dal servizio del Muraglia quel 2 giugno 2014, va evidenziato che la timbratura in abiti succinti del Muraglia, si spiega in modo assai logico con il raggiungimento, dopo la fine servizio, in successione, dell'abitazione e dell'adiacente ufficio in cui si trovava l'apparecchio marcatempo".

I PARTICOLARI

"In conclusione, ribadendosi, anche se ovvio, che spettava al pm dimostrare l’assenza dal servizio del Muraglia quel 2 giugno 2014, va evidenziato che la timbratura in abiti succinti del Muraglia, si spiega in modo assai logico con il raggiungimento, dopo la fine servizio, in successione, dell’abitazione e dell’adiacente ufficio in cui si trovava l’apparecchio marcatempo...". Alberto Muraglia, il cosiddetto "vigile in mutande", assorto agli onori della cronaca nell'inchiesta sui furbetti del cartellino, in Comune a Sanremo, per aver timbrato il badge lavorativo in "abiti succinti" ed essere tornato a casa, torna a diventare un simbolo, ma stavolta di una gaffe giudiziaria.

E' lo stesso gup Paolo Luppi, che il 20 gennaio scorso assolse 10 imputati (tra cui Muraglia), formalizzando sedici patteggiamenti e altrettanti rinvii a giudizio, a mettere in luce una serie di errori investigativi, nelle 316 pagine di motivazioni della sentenza in abbreviato. "Nell'anticipare, sin da ora, come l'accusa nei  confronti di tutti gli imputati sia stata ritenuta infondata, questo giudice, in modo non formale, intende dare atto di come il rappresentante del pm abbia, comunque, sostenuto l'accusa in modo accurato, serio e intelligente", scrive Luppi.

"Ora, questo giudice ritiene che, in un sistema incentrato su principi che richiedono una reale offensività delle condotte che si assumono come penalmente illecite, non sia sufficiente, per dimostrare l'integrazione del reato come sopra contestato, la mera circostanza che la timbratura sia avvenuta da parte di un soggetto diverso dal lavoratore titolare del badge (in genere un collega, ma, come si vedrà nel caso dell'imputato Muraglia, anche da parte di altri soggetti)". Per Luppi, dunque, il fatto che un collega timbri il cartellino, non significa che il dipendente sia un furbetto. Non in modo automatico. "Quel che deve rilevare, al fine di poter affermare la responsabilità penale - spiega - è che la timbratura da parte di terzi diversi dal dipendente titolare del badge abbia costituito parte di una condotta fraudolenta, volta a far figurare presente sul posto di lavoro il soggetto intestatario del badge, in realtà assente".

Sotto accusa le carenze investigative, dovute a causa delle penuria di risorse umane: "Dato l'esiguo numero di operatori di PG disponibili. Il pedinamento dei dipendenti è avvenuto solo in alcuni casi e, di regola, in tali casi quei soggetti che sono stati sorpresi a svolgere attività extra lavorative mentre avevano attestato "uscite per servizio" con i vecchi sistemi, a fronte del quadro probatorio a loro sfavorevole, hanno  patteggiato la pena. Negli altri casi, pur in mancanza di prove su dove si trovasse e cosa stesse facendo il dipendente "uscito per servizio", da parte della Pubblica Accusa si è presunto che egli stesse facendo altro  rispetto ai compiti inerenti l'attività lavorativa". Quindi, il fatto che il dipendente non si trovasse al lavoro, faceva presumere che fosse un assenteista. "Le difese avrebbero potuto limitarsi a contestare le asserzioni del pm. Quest'ultimo, in sostanza, in assenza di prove concrete che smentissero il dipendente che aveva attestato di esser al lavoro, ha attribuito a questi e alla sua difesa l'onere della provare tale circostanza". 

Il giudice passa a esaminare gli obiettivi dell'indagine

"L'indagine è iniziata nel dicembre 2013 è terminata nel mese di settembre 2014. Le misure cautelari sono state eseguite contestualmente in data 28 ottobre 2014. Le diverse conclusioni alle quali si è pervenuti sono state determinate, da un lato, da una diversa opinione sull'interpretazione di atti giuridici di carattere amministrativo su cui una parte delle contestazioni si fondava, dall'altro su una, parimenti divergente, impostazione circa l'attribuzione dell'onere della prova in alcune, importanti circostanze.

La carenza di risorse umane

"A ciò si aggiunge il fatto che la scelta di un'indagine a tappeto così imponente (come si è detto, 270 sono stati i dipendenti del comune di Sanremo indagati) e il tipo di condotte che dovevano essere provate avrebbe forse richiesto, se disponibili, l'impiego di maggiori risorse umane (a livello di personale di PG incaricato delle attività investigative). Si è, in modo assolutamente legittimo, cercato di ovviare a dette carenze cercando di orientare il giudicante a ritenere provati fatti storici (non percepiti direttamente dagli investigatori) in base a prove logiche, che, tuttavia, si sono rivelate, ad avviso di questo giudice, inidonee alla dimostrazione degli addebiti.

I dirigenti accusati di coprire i furbetti

Luppi tratta poi quel filone investigativo, in cui vengono presi di mira i dirigenti del Comune, accusati di sapere e di coprire i dipendenti "furbetti". "Come vedremo i dirigenti dei settori ai quali appartenevano gli odierni imputati (imputati che sono accusati, oltre che di altre violazioni, di essersi allontanati dal luogo di lavoro adducendo falsamente ragioni di servizio), secondo logica, avrebbero avallato condotte illecite degli stessi. Tali dirigenti, in palese violazione (secondo il postulato della pubblica accusa) di obblighi che disciplinavano le uscite per servizio, avrebbero serbato condotte che sicuramente meritevoli di un'indagine nei loro confronti.

Sarebbe stato, infatti, logico cercare di comprendere, perché tali dirigenti in materia di uscite per servizio  avessero concesso (con una prassi per il PM non più legale), autorizzazioni orali poi trasfuse in appositi registri cartacei".

"E sarebbe stato altresì interessante capire per quali ragioni, data l'abitualità di tale modus procedendi, i dirigenti dei settori ai quali appartenevano i dipendenti ritenuti infedeli, non siano stati ritenuti responsabili (o comunque non siano stati indagati) per un loro (nell'ottica del PM) palese  concorso nei reati commessi datali dipendenti. E' accaduto, invece, che tali dirigenti abbiano sostanzialmente e fermamente ribadito la legittimità della prassi seguita dai loro sottoposti in materia di uscite per servizio".

Ma timbrare i cartellino del collega è segno di una truffa?

"Sempre su un piano generale vanno fatte alcune considerazioni circa le fattispecie  di truffa aggravata continuata, in concorso  (artt. 110 cp, 81 cpv cp, 640 commi I° e II° nr. 2), contestate  a quasi  tutti gli imputati nelle varie circostanze in cui  il gli stessi, in realtà assenti dal lavoro, avrebbero istigato colleghi a provvedere alla effettiva timbratura del loro cartellino marcatempo,  inducendo così in errore il datore di lavoro – Comune di Sanremo – circa la loro effettiva presenza sul posto di lavoro.

Anche in questo caso i dipendenti si sarebbero procurati un ingiusto profitto, pari alla retribuzione indebitamente percepita per il periodo di tempo in cui si erano assentati dal luogo di lavoro, con uguale danno per l’ente pubblico".

"Ora, questo giudice ritiene che, in un sistema incentrato su principi che richiedono una reale offensività delle condotte che si assumono come penalmente illecite, non sia sufficiente, per dimostrare l'integrazione del reato come sopra contestato, la mera circostanza che la timbratura sia avvenuta da parte di un soggetto diverso dal lavoratore titolare del badge (in genere un collega, ma, come si vedrà nel caso dell'imputato Muraglia, anche da parte di altri soggetti)".

Totalmente inaccettabili sarebbero, infatti, presunzioni di assenza, basate esclusivamente sulla timbratura operata da terzi.

Va sottolineato che, una volta ritenute infondate le accuse di truffa (nelle varie tipologie di condotte contestate), vengono altresì meno le altre fattispecie ascritte ai vari imputati:

In primis  il reato di cui all'art.479 cp (falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici).

Il caso di Alberto Muraglia, il vigile in mutande

Il giudice smonta le accuse e, prendendo in esame il corposo materiale difensivo, smonta anche ogni singolo capo di accusa, spiegando il percheé Muraglia andava assolto. Già all'epoca dell'assoluzione, l'avvocato della difesa, Alessandro Moroni, spiegò che grazie a una disposizione del comandante di polizia municipale di Sanremo, secondo la quale bisognava timbrare in abiti borghesi, Muraglia era da assolvere. Moroni spiega che l’allora vigile Muraglia, nominato custode del mercato ortofrutticolo di Sanremo, si svegliava tutte le mattine alle 5.30 per aprire i cancelli e doveva prendere servizio alle 6 come vigile. Un compito che svolgeva in cambio dell’alloggio a titolo gratuito nello stabile del mercato, senza alcuna remunerazione in denaro.

Dopo aver aperto i cancelli

Muraglia dava un’occhiata in giro, che non ci fossero auto in doppia fila nel circondario che impedissero l’installazione dei banchi nei giorni di mercato (quello ambulante con le bancarelle nel piazzale). Quindi, timbrava, sempre in abiti borghesi – nella timbratrice del mercato in cui prestava servizio, situata a pochi metri da casa – e rientrava in alloggio per indossare la divisa. “E’ proprio come avviene per tutti gli agenti che devono prendere servizio al comando – dichiara Moroni – che entrano e timbrano in borghese, quindi si cambiano”.

Cosa succede

In quattro occasioni Muraglia sale in casa, dopo aver aperto il mercato e si cambia, ma dimentica di timbrare il cartellino. Per questo motivo, scende dove c’è la timbratrice o manda la figlia a timbrare, perché così prevedono le disposizioni, in quanto l’atto del cambiarsi d’abito e mettersi la divisa è considerato orario di lavoro. “Anzi – commenta Moroni – se proprio vogliamo, in quei casi è più facile che abbia regalato quaranta secondi, anziché averne sottratti allo Stato”.

Così scrive il giudice nelle motivazioni

"La tesi del pm è che il Muraglia timbrasse in mutande o si facesse timbrare il proprio cartellino dalla moglie o dalla figlia senza poi prendere effettivo servizio nel momento corrispondente (quando la timbratura riguardava l’inizio del turno) o avendo già in precedenza abbandonato il servizio (quando la timbratura concerneva la fine del servizio). Il Muraglia, come si è detto, iniziava a lavorare (senza essere per questo retribuito!) 25 - 30 minuti prima dell’effettiva presa di servizio attestata con la timbratura".

"Effettuava, appena alzato, un giro in scooter delle aree interessate dal mercato per poter chiedere l’intervento della ditta incaricata della rimozione dei veicoli che occupavano l’area mercatale".

Attesa l’urgenza di un tale sopralluogo è assolutamente verosimile che il Muraglia, appena alzatosi, compiss tale attività prima di avere indossato la divisa (magari indossando qualcosa sopra il pigiama, in tuta, o comunque in abiti borghesi).

Presa nota dei veicoli da rimuovere, chiamata la ditta che doveva effettuare la rimozione, egli timbrava il cartellino, talvolta prima di essersi completamente rivestito o vestito (se era uscito indossando qualcosa sopra il pigiama).

Tali considerazioni sono abbondantemente sufficienti a scagionare il Muraglia e a porre seri interrogativi sulla attendibilità, in linea generale, degli elementi indiziari addotti a sostegno di molte della accuse, che, conseguentemente (e doverosamente), nei casi dubi sono stati ritenuti inidonei a fondare un’affermazione di responsabilità.

In conclusione, ribadendosi, anche se ovvio, che spettava al PM dimostrare (lo si ricordi: oltre ogni ragionevole dubbio) l’assenza dal servizio del Muraglia quel 2 giugno 2014, va evidenziato che la timbratura in abiti succinti del Muraglia, si spiega in modo assai logico con il raggiungimento, dopo la fine servizio, in successione, dell’abitazione e dell’adiacente ufficio in cui si trovava l’apparecchio marcatempo (deserto nell’occasione, stante la giornata festiva).

Leggi qui le altre notizie

 

Seguici sui nostri canali
Necrologie