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Arriva il primo album "sardenaira punk"

A tu per tu con Alessandro Paronuzzi, bassista della band sanremese "quattro di bastoni" al suo disco d'esordio.

Arriva il primo album "sardenaira punk"
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Uscirà a breve, questione di limare gli ultimi dettagli logistici, il primo album della band sanremese Quattro di Bastoni «Brucia in te». Un fiume di aneddoti dietro alla produzione del disco e alle tracce che lo compongono. Si tratta del primo disco in assoluto "sardenaira punk"

L'intervista a Alessandro Paronuzzi sull'album "sardenaira punk" Brucia in Te

Abbiamo raggiunto Alessandro «Paro» Paronuzzi, bassista della band (che suona insieme a Matteo «Teo» Lavagna, chitarra e voce, Fabio Foresio, chitarra e cori, e Matteo «Matte» Bonuccelli alla batteria), per fare il punto.

I Quattro di Bastoni fanno «sardenaira punk», cosa significa?
«È il nome che diamo scherzosamente al genere che facciamo. Nella traccia omonima del disco raccontiamo un episodio che ci è capitato. Stavamo facendo festa e suonando con la chitarra acustica la sigla del cartone Robin Hood, quando, probabilmente allertati dai vicini, sono arrivati i Carabinieri. Il nome del genere è un gioco sull’attitudine, appunto scherzosa e autoironica di alcuni brani e un prodotto esclusivamente sanremese». Lo stesso concetto è ritrovabile nel nome della band».

C’è una storia dietro?
«Certo, contrariamente a quanto uno potrebbe pensare, non c’entra nulla con le carte, in realtà. Il nome nasce da una serata alcolica in cui una nostra amica ha affermato, rivolta a un membro della band: “Adesso vai a casa e ti sdrai a quattro di bastoni”, ossia (mima il gesto, ndr) con gambe e braccia aperte».

Parliamo del disco...
«È un flusso di pensieri nato dall’attitudine pirata a non ascoltare il mondo esterno, ma non per chiusura, bensì per avere la massima libertà espressiva possibile. Nell’album ci sono tutte le nostre influenze musicali, che sono varie e questa ecletticità si rispecchia anche nei temi: andiamo dalle canzoni che raccontano le serate con gli amici, a temi più introspettivi (come una traccia che ho scritto io, una di quelle a cui sono più affezionato, che è una valvola di sfogo per un brutto periodo). Siamo anche andati oltre alla “gabbia” del punk: c’è un pezzo folk (con i Ponente Folk Legacy), in inglese, ispirato alla scena irlandese, suonato con gli strumenti della tradizione celtica (cornamusa, banjo e il piccolo flauto tin whistle). C’è anche una ballad, dedicata a Ramon Gabardi (storico musicista della Riviera dei Fiori, stroncato da una malattia nel 2017, ndr). Per questo pezzo, che è molto sentito da tutti i membri della band, abbiamo collaborato con Chiara Palmero (MH Band), Danilo Bergamo (Roommates) e Greta Morganella».

Altre menzioni particolari?
«C’è il brano Psicomaniacale che è un riarrangiamento di un pezzo dei Red Block, in cui militava il nostro Matteo, quindicenne. Io avevo ancora l’EP a casa e ci siamo detti “perché non lo riproponiamo”?

Come vi siete trovati?
«Prima che musicisti siamo amici. Matteo, il batterista, è stato l’ultimo a prendere in mano uno strumento e così, chiacchierando al bar, ci siamo messi d’accordo per passare qualche domenica in sala prove con Fabio, in modo che si esercitasse. Piano piano abbiamo iniziato ad aggiungere sempre di più. Facevamo cover. Poi è arrivato Teo (che insieme a Fabio è uno dei compositori principali, anche se scriviamo tutti), con “Mai più un passo”. E poi, abbiamo autoprodotto il disco. Eccoci qui».

Quali sono i progetti futuri, tornerete in “studio”?
«Avremmo già del materiale, ma ora vogliamo cercare delle date, anche fuori provincia, per promuovere i disco. Appena avremo la location faremo anche un evento per festeggiare l’uscita dell’album, dobbiamo ancora vedere se sarà un live, una grande festa, o un concerto con più gruppi».

Il Ponente, per musica un po’ più alternativa, sembra il regno delle cover band. Fare pezzi propri è coraggioso?
«Da un certo punto di vista sì, perché i ristoratori, ad esempio, preferiscono pezzi che fanno ballare la gente e che conoscono tutti. Ma una volta non era così: in provincia c’erano un sacco di band e molti locali che facevano suonare. C’erano anche molti più eventi. E noi eravamo quella generazione cresciuta, a quindici anni, ad ascoltare dal vivo le band dei venticinquenni. Poi ci sarebbe stato il ricambio generazionale, si diventava musicisti e salutati quello che era il tuo pubblico e poi sarebbe stato il tuo “successore”. Ecco, forse siamo rimasti in pochi, questo sì».

sardenaria punk
La copertina di "Brucia in te"

La copertina è un richiamo a “I Guerrieri della Notte”, vero?
«Esattamente. Ed ha lo stesso spirito di cui parlavamo prima. E autoironica, occhiali da sole e addominali scolpiti e assolutamente no, il disco non c’entra nulla con il film. Il bozzetto da cui io poi ho ricavato la versione finale ce lo ha disegnato Frederic Volante, storico disegnatore di Tex Willer».

 

 

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