Sanremo

La commovente lettera di una volontaria della Croce Rossa Sanremo a Selvaggia Lucarelli

"Un ricordo forte dei sorrisi dei bambini, dell’incertezza visibile negli adulti accompagnata da una dignità disarmante"

La commovente lettera di una volontaria della Croce Rossa Sanremo a Selvaggia Lucarelli
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La giornalista Selvaggia Lucarelli ha postato sui social una commovente lettera ricevuta sulla posta de Il Fatto Quotidiano da parte di una volontaria della Croce Rossa di Sanremo. La missiva racconta delle emozioni provate all'arrivo dei  profughi afghani alla base logistica di San Martino a Sanremo la notte del 23  agosto.

La lettera della volontaria Croce Rossa Sanremo

Cara Selvaggia, questo è il mio diario di una pagina di vita indelebile.
Sanremo, 23 agosto 2021. Sveglia alle quattro. Quattro come le ore dormite. Il telefono della compagna di stanza suona e ci allerta che stanno arrivando. L'adrenalina non fa sentire le poche ore di sonno e la tensione dei preparativi della giornata precedente. Nel buio si parte attraversando la città ancora addormentata.
La struttura ospitante la base logistica dell’Esercito e quelle di prima accoglienza preparate da Croce Rossa sono pronte. Tutto e tutti ai propri posti. I 5 pullman partiti da Roma sosteranno all'ultimo autogrill autostradale, poi uno per volta, entreranno in Sanremo, consegnando il prezioso carico umano: 206 rifugiati afghani di cui 85 minori. Energia alle stelle, non sappiamo cosa aspettarci e se saremo capaci di gestire emotivamente questa nuova esperienza.
Fortunatamente, tra di noi, ci sono volontari più esperti che ci infondono sicurezza. Arriva il primo autobus. Anime scure in lunghi abiti scendono in fila, nella poca luce e nel totale silenzio del vicinato dormiente. Anche nel buio si percepisce la loro preoccupazione mista al senso di tranquillità di aver lasciato alle spalle lo scampato pericolo nella terra di nascita. Sono raggruppati per nucleo familiare: alcuni formati da tre/quattro elementi, altri più numerosi anche con i nonni a seguito.
Rispettosi ed educatissimi, si attengono scrupolosamente alle prescrizioni impartite per evitare assembramenti. Si muovono compatti come se avessero paura di perdersi. Loro stessi sono tutto quello che hanno. Bagagli quasi inesistenti. Ricordi e affetti della vita vissuta racchiusi in una valigia e in qualche sacchetto della spesa: il nulla. L'unico valore in possesso è la famiglia stessa. Iniziamo con le operazioni di verifica di presenza del nucleo familiare, la misurazione della temperatura, cambio della mascherina e disinfezione delle mani. C’è imbarazzo nel come comunicare.

Loro hanno motivo di essere più spauriti di noi. Noi siamo tutti apparecchiati con i camici e le tute di protezione, guanti e visiera. Chissà che idea si saranno fatti di noi. Ma l'importante è proteggere loro da questo virus immortale.
Si accenna qualche parola di inglese. Sono molto timorosi ma conservano nello sguardo e nel portamento un decoro fiero. Le donne, timidissime, sempre un passo indietro, con una parte del volto coperta. Tutti pronunciano i loro difficilissimi nomi con un filo di voce, quasi sussurrato. Alcuni capofamiglia parlano italiano, sono coloro che probabilmente hanno lavorato nel consolato e sono i meno impacciati, forse abituati all’esuberanza degli italiani. Pian pianino ci scambiamo qualche sorriso, anche le donne pronunciando il loro nome, svelano un timido sorriso e i dolci lineamenti del viso. I bambini poi sono il tramite più veloce per sciogliere il ghiaccio della loro diffidenza iniziale compensata dalla naturale e irrefrenabile curiosità dell’età. Con il transito delle famiglie al check anche noi acquisiamo più praticità, riusciamo a comprendere e distinguere meglio questi nomi molto simili tra loro, pronunciati nella loro lingua, Gli uomini sono quasi tutti Mohammad più il secondo nome.
Le donne hanno fortunatamente nomi diversi tra loro, più facili da decifrare. Abbiamo meno apprensione nel poterli "traumatizzare" con tutte queste formalità burocratiche. Ma tutto fila liscio. L’Associazione Nazionale è “cintura nera” nelle emergenze umanitarie. Ha una organizzazione collaudata alla perfezione, tutto pianificato e con pochi margini di errore. Nel frattempo, arriva anche l'alba e con la luce i nostri e i loro occhi si incrociano con maggior fiducia, anche perché gli ospiti sono confortati dal percorso già effettuato dagli altri compagni di viaggio. Alle 9 tutti sono stati accompagnati nelle camere assegnate, rifocillati con la colazione e dotati di abbigliamenti basico/intimo e prodotti per l’igiene personale.

Quello che non potrò mai dimenticare sono i visi di alcuni uomini, spesso ragazzi, che ostentavano una sicurezza tradita dal tremore delle mani nel ricevere il gel per disinfettarle; gli occhi chiusi, strizzati e il collo voltato di lato dalle donne quando ci si avvicinava al viso con il termoscanner per la misurazione della temperatura; la gioia dei bambini quando sono arrivati al tendone per la distribuzione dei giochi: sono usciti riempiti di peluches e giocattoli a più non posso. Saranno la loro distrazione in questi dieci giorni di quarantena fiduciaria nelle proprie stanze. Loro sono i più contenti al momento, ignorando il tempo da trascorrere nella provvisorietà di una piccola stanza. Gli adulti sono pazientemente rassegnati, ma sicuramente confortati dal pensiero di essere al sicuro con la famiglia al seguito. In alcuni di loro si legge nel viso la speranza di una vita migliore. In altri si legge la tristezza e forse la consapevolezza di essere arrivati in un paese dove ripartiranno da zero, forse da ultimi, dove ci saranno altri tipi di problemi da affrontare per riconquistare il proprio diritto sociale.

Con alcuni colleghi alla fine di questa prima parte della giornata ci siamo scambiati delle impressioni. Tutti con il ricordo forte dei sorrisi dei bambini, dell’incertezza visibile negli adulti accompagnata da una dignità disarmante. Anche i nostri occhi hanno fatto fatica, le lacrime sono state difficili da trattenere. Grazie alla Croce Rossa Italiana tutta e ai miei compagni di esperienza per avermi regalato questo privilegio. Una lezione di vita indimenticabile.

C., una volontaria della Croce Rossa SANREMO

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