La AD al Casinò

Scocchia torna a casa con "Il coraggio di provarci" - L'intervista

La top manager al Casinò con il suo libro. "Non è importante riuscire, quanto provare"

Scocchia torna a casa con "Il coraggio di provarci" - L'intervista
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Ritorno a casa per Cristina Scocchia, top manager italiana, nata 50 anni fa a Coldirodi. La top manager italiana, oggi Ceo di IllyCaffé e membro del board EssilorLuxottica, Fincantieri e Fondazione Altagamma, ieri sera al teatro del Casinò per presentare il suo libro, scritto affiancata dalla giornalista Francesca Gabarini, «Il coraggio di provarci» (Sperling & Kupfer), nell’ambito della rassegna Martedì Letterari.

 

Cristina Scocchia nella "sua" Sanremo per presentare il suo libro

Scocchia ha parlato di tutto: dell’infanzia spensierata a Coldirodi, dei primi incarichi, del volontariato in Croce Rossa con cui è stata in Iugoslavia, del duro lavoro, della responsabilità di garantire, anticipando i dpcm, la sicurezza dei suoi collaboratori durante il Covid e del sogno di diventare mamma- titolo che preferisce a dottoressa- e che per un parto difficile ha rischiato di non realizzarsi. «Oggi Riccardo- ha detto- è un omone di un metro e ottanta e l’uomo più bello della mia vita».
L’abbiamo raggiunta prima che salisse sul palco.

 

L'intervista

Di che cosa parla il suo libro?
«Non a caso si chiama “il coraggio di provarci” e non di riuscirci, perché il messaggio che vuole mandare è proprio quello: non importa il punto di partenza, guardati dentro, trova le forze e poi mettiti a correre. Con passione, resilienza e anche un po’ di sacrificio».

L’essere donna è stato un punto a favore o una difficoltà?
«Essere donna è sempre stata una grande fatica. Per tutti è difficile arrivare a posizioni di vertice, per le donne lo è ancora di più. In Italia solo il 4% degli amministratori delegati sono donne, il 15% di primari è donna, nonostante lo siano anche la maggioranza dei medici. Questo perché nel nostro Paese gli stereotipi sono ancora molto forti e la cultura patriarcale, soprattutto per certe carriere, ci ostacola ancora. Molte volte i miei colleghi venivano chiamati dottore e io signorina».

Nel libro afferma che una donna debba comportarsi come un giocoliere...
«Per una donna è difficile coniugare gli aspetti di essere una professionista e una mamma. Ho sempre cercato di spiegare alle giovani ragazze di comportarsi come un giocoliere. Un giocoliere non ha tutte le palle in alto. Ne ha una in mano, quella dove sta concentrando i suoi sforzi: un’altra palla invece è già in alto, è quella che gli sta dando soddisfazioni perché è quella su cui ha già investito e ne ha una in basso che prende al volo prima che si frantumi al suolo. La mia vita è suddividermi tra tutte le cose che ho scelto di avere cercando di non far scartare a terra le mie priorità».

Che cosa è cambiato da quando ha iniziato a fare questo lavoro?
«Sono cambiate sostanzialmente due cose: la forma della leadership e l'attenzione ambientale. Nel primo caso, al giorno d'oggi, si è, fortunatamente, passati da una leadership verticale, basata sul controllo, a una basata sulla fiducia e responsabilità, collaborazione e meritocrazia. Negli Stati Uniti questo è il modello più diffuso, in Italia un po' di meno, ma inizia ad essere presente. E per quanto riguarda l'ambiente, ora le aziende sono davvero parte di un cambiamento culturale, quando ho iniziato se ne parlava poco e, chi ne parlava, spesso ne parlava per marketing».

Lei è anche mamma, cosa consiglia a suo figlio Riccardo e agli altri giovani che si affacciano nel mondo del lavoro?
«A mio figlio, ma mi sento di allargare a tutti i ragazzi, consiglio sempre di seguire le proprie passioni. Dobbiamo passare la maggior parte della nostra vita impegnati, quindi tanto vale che il nostro lavoro coincida, se non con una nostra passione, almeno con un nostro interesse, non è necessario scegliere l'impiego che garantisca più possibilità o più remunerazione. E poi, una volta che hai capito quali sono i tuoi veri interessi su cui vale la pena investire, bisogna insistere. Con determinazione. È vero che forse, oggi, si è persa un po' la cultura del sacrificio. È importante il "Work Life Balance", ma deve essere, appunto, bilanciato».

Parlando di "Work Life Balance", cosa fa quando si toglie la giacca da AD?
« È la domanda più difficile che mi fanno i giornalisti, quando mi chiedono quali sono i miei hobby, perché non ne ho. Sedici anni fa ho scelto di essere mamma e ho deciso che non sarebbe stato cresciuto dalle tate. E, dunque, faccio la mamma a tempo pieno. L'amministratore delegato è un lavoro che impegna tanto tempo, però mi sveglio presto per fare colazione con mio figlio. La sera cerco di tornare a casa alle sette per cenare con lui. Certo, quando lui va a dormire, è possibile che io riaccenda il computer e continui a lavorare, ma questi momenti sono arricchenti, per me. Spero che lo siano anche per lui: quando era più piccolo, lo coccolavo, adesso cerco di aiutarlo a crescere».

Cosa pensa di Sanremo e Coldirodi?
«Siamo come alberi. Abbiamo bisogno di radici forti per crescere bene. E le mie sono nel "mio paesello". A Coldirodi, a Sanremo, ho avuto un'infanzia felice. Eravamo una famiglia grande, chiassosa. A un certo punto, ho deciso che quel posto non bastava più per fare quello che volevo e sono andata a studiare a Milano. Certo, nascere a New York, Londra, Roma o Milano rende tutto più semplice, ma non è stato un ostacolo. I miei genitori mi hanno insegnato, facendo due lavori per costruirsi una casa (insegnanti e floricoltori, ndr), il prezzo che hanno i sogni».

Davide Izetta

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