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Abusi sessuali: "Da noi è più facile denunciare"

Il punto con il primario Roberto Ravera dopo il report del Sole 24 Ore che classifica Imperia al primo posto per incidenza

Abusi sessuali: "Da noi è più facile denunciare"
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Ha suscitato un notevole scalpore l’articolo con cui, alcuni giorni fa, ‘Il Sole 24 ore’ ha presentato i dati del Ministero dell’Interno sulla criminalità italiana, riconoscendo Imperia come la provincia con il numero più alto di abusi sessuali. Un primato inquietante che spinge ad interrogarsi sulle dinamiche in atto nella nostra zona.

 

Abusi sessuali: la risposta del dottor Ravera al report del Sole 24 Ore

La provincia di Imperia è davvero così pericolosa? Lo abbiamo chiesto al dottor Roberto Ravera, primario della Struttura Complessa di Psicologia dell’Asl 1 imperiese.
«Questi dati- spiega Ravera-  che potrebbero far sembrare che la nostra è una provincia estremamente problematica vanno riletti in una chiave diversa. Tre anni fa, come Struttura Complessa di Psicologia abbiamo istituito in collaborazione con le assistenti sociali un progetto che prevede la nostra presenza in reperibilità nell’arco delle 24 ore al fianco delle donne violentate. Siamo tra i primi in Italia a garantire una presenza costante quando le donne segnalano violenze sessuali e questo servizio ha favorito il fatto che le donne si sentano maggiormente protette e denuncino le violenze subite più che altrove».

Quindi in provincia di Imperia non c’è un numero maggiore di violenze sessuali rispetto al resto d’Italia ma viene offerto un servizio di assistenza migliore che spinge le donne a denunciare?
«Esattamente. Siamo presenti costantemente: anche sabato, domenica, di notte… e questo è molto importante perché talvolta il ritardo di intervento può creare un ritardo nella decisione di denunciare. Nel periodo preCovid e durante il Covid, quando c’è stata una recrudescenza di queste violenze, abbiamo creato una rete che permette di prendere in carico le vittime: pensi ad esempio a quei casi in cui bisogna trovare una sistemazione per le donne che non possono tornare a casa».

Da quante persone è composta questa squadra di lavoro?
«Da tutti gli psicologi dispiegati nell’Asl, circa una trentina, e dalle assistenti sociali. Abbiamo istituito una collaborazione stretta e operativa con le forze di Polizia Giudiziaria tanto che abbiamo preso una psicologa che lavora quasi esclusivamente nei contatti con la Procura. La legge prevede che ogni volta che una donna o un minore segnali un caso di violenza, tra cui anche quella sessuale, debba essere presente uno psicologo. Dall’inizio dell’anno abbiamo fatto 66 audizioni: segno che dopo tre anni dall’attivazione di questo servizio siamo andati a pescare in quella zona grigia in cui le donne di solito hanno paura di denunciare. È necessario un impegno costante perché l’età media delle vittime è molto bassa, di 25-26 anni, i casi di violenza domestica sono numerosi e molte vittime hanno origini straniere e non conoscono bene le prassi. Queste violenze non creano solo un danno fisico ma anche un enorme danno psicologico. Talvolta c’è anche una grande difficoltà ad essere accettate nel proprio spazio sociale perché quello della violenza sessuale sembra sempre un marchio, come se la donna in qualche modo ne fosse responsabile».

Gabriella Benedetti

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