Il personaggio

Faccia a faccia con il Comandante Alfa: «Il segreto è che ho sempre avuto paura»

"Ti aiuta a restare sempre concentrato". Il Carabiniere tra i fondatori del GIS si racconta.

Faccia a faccia con il Comandante Alfa: «Il segreto è che ho sempre avuto paura»
Pubblicato:

Il Comandante Alfa, tra i fondatori del Gruppo di Intervento Speciale (Gis) dei Carabinieri, ospite ai Martedì Letterari del Casinò di Sanremo con il suo ultimo libro «Liberate gli ostaggi» che, tra le altre cose, parla dello storico battesimo del fuoco del reparto durante il quale, nel dicembre del 1980, il Gis salvò 18 ostaggi sequestrati dalle Brigate Rosse nel supercarcere di Trani senza sparare un colpo e senza ferire nessuno.

 

Faccia a faccia con il comandante Alfa: «Il segreto è che ho sempre avuto paura»

Nato a Castelvetrano il 28 febbraio del 1951, si è arruolato nei Carabinieri a soli 17 anni. Finisce nel battaglione paracadutisti dell’arma, dove il colonnello Romano Marchisio, nel 1977 lo selezionerà, insieme ad altri 4 commilitoni, per formare il primo nucleo di quello che diventerà il Gis. Nell’addestramento intensivo alla “Palazzina B”, gli verrà assegnato il soprannome di Alfa. Terminato il servizio attivo, ha impugnato la penna e scritto numerosi saggi. Oltre a «Liberate gli ostaggi», ha raccontato la sua lunga carriera in una delle forze speciali più apprezzate ed efficienti del mondo con “Cuore di rondine”; “Io vivo nell'ombra”; “Missioni segrete”;Dietro il mephisto” e “Parola d’ordine: Proeteggere ”Lo abbiamo raggiunto nel foyer della casa da gioco per conoscerlo meglio.

Comandante Alfa, al casinò di Sanremo per presentare «Liberate gli Ostaggi» il suo ultimo libro. Ce ne parla?
«Questo libro secondo me diventerà storico, perché purtroppo, parla degli Anni di Piombo. Vorrei che tanti giovani lo leggessero per avvicinarsi alle forze di polizia e capire i sacrifici che abbiamo fatto per il bene della collettività. Una parte è dedicata al battesimo del fuoco del Gis. Nessuno, prima dei miei libri conosceva i particolari di quello che abbiamo fatto e di che cosa stavamo facendo. Parlo delle sensazioni degli operatori lungo il viaggio, delle preoccupazioni, perché il Gis se avesse sbagliato l’intervento sarebbe stato sciolto il giorno stesso. Un’operazione incredibile, abbiamo liberato 18 ostaggi senza ferire nessuno e sparare nemmeno un colpo. Il giorno della nascita del Reparto è stato, secondo me, quello. Prima di quella data nessuno sapeva che stava nascendo questa sezione dedicata a situazioni difficili e nessuno ci dava credito. Noi italiani siamo un popolo eccezionale: siamo stati presi a modello da mezzo mondo. Abbiamo fatto capire a tutti che l’italiano quando cerca di fare le cose lo fa per bene. Siamo diventati uno dei reparti più efficienti al mondo. Ne sono orgoglioso e sono orgoglioso di avere scritto questi libri, perché ho fatto parte, per 40 anni, dell’evoluzione del reparto».

Lei ha parlato di avvicinare i giovani alle forze di polizia, c’è un messaggio che vuole lanciare alle nuove generazioni?
«Il messaggio è che noi non siamo loro nemici. Devono capire che questo muro deve essere abbattuto. Vogliamo il bene della collettività e in particolare dei giovani, perché non solo sono il nostro futuro, ma sono anche il nostro presente. Vorrei essere, forse presuntuosamente, il loro incentivo. Io, ragazzo del Profondo Sud, nato a Castelvetrano (Trapani) ho avuto un’infanzia difficilissima, con una linea sottilissima tra bene e male. Ho scelto il bene, ho dedicato al reparto tutta la mia vita e tutta la mia gioventù per combattere certi tipo di personaggi. Questo è il messaggio che vorrei dare ai giovani».

Ha mai avuto paura?
«Io ho sempre avuto paura. Perché la paura ti aiuta a concentrarti, a svolgere in un modo esemplare interventi che sono sempre molto difficili. Il Gis è un reparto speciale perché è composto da ragazzi speciali. Sono ragazzi che non hanno una vita privata per 20-21 anni. La nostra vita è addestrarci per essere pronti a risolvere situazioni difficili».

Non lo toglie mai, anche metaforicamente, il mefisto?
«No, il mefisto ormai fa parte di me. E ci sono, ormai talmente tanto affezionato che neanche mi da noia. Io lo indosso ancora perché ancora ricevo delle minacce. Non so perché, meriterei degli applausi per quello che ho fatto, per quello che facciamo. Purtroppo c’è sempre qualcuno a cui questa cosa non piace, non si può piacere a tutti nella vita. Quindi sono costretto, per sicurezza dei miei familiari. Preso lo toglierò. Sto cercando di realizzare il mio ultimo progetto, che a lungo ho pensato fosse un sogno più grande di me. In provincia di Como ho creato l’Accademia Comandante Alfa, la Cittadella della Legalità dedicata alla memoria del mio collega Enzo Fregosi, caduto a Nassiriya. Spero che diventi un punto di riferimento per i ragazzi. Mangeranno, dormiranno, toglieremo il cellulare, dovranno farsi il letto, dovranno fare le pulizie, alzabandiera e ammainabandiera. Li farò incontrare con tanti personaggi che hanno delle esperienze da raccontare. Perché io credo molto nei giovani».

Ha qualcosa che l’aiuta a staccare, a rilassarsi? Per conoscere l’uomo dietro al mefisto?
«Io sono stato bravissimo, mi faccio i complimenti da me, per i 40 anni che ho trascorso nel reparto, perché è difficilissimo essere un operativo di una forza speciale come il nostro. Non hai una vita privata, fai molti sacrifici e i sacrifici li fanno soprattutto i tuoi familiari a causa delle tue lunghe assenze. Io quando uscivo dalla caserma diventavo un papà, un marito. Quando lasciavo casa, diventavo un operatore del Gis. Ho sempre staccato questi due ambiti».

Davide Izetta

Commenti
Renzo Fantino

Penso che in questo periodo ci vorrebbero più uomini come lui

Lascia il tuo pensiero

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Seguici sui nostri canali
Necrologie