La Sierra Leone del dottor Ravera in un libro
"Antropologia di un mondo a parte" raccoglie l'esperienza dello psicologo nel centro di riabilitazione alle porte di Freetown
Un fiume in piena, il dottor Roberto Ravera, direttore della Struttura Complessa di Psicologia di Asl1 e attivista, alla presentazione del suo libro “Sierra Leone, antropologia di un mondo a parte” nei giorni scorsi, nella Sala Provata del Casinò di Sanremo, in occasione dell’ultimo appuntamento 2023 dei Martedì letterari del Casinò di Sanremo.
La Sierra Leone del dottor Ravera raccontata in "antropologia di un mondo a parte"
Il volume, edito da Leucotea, racconta l’attività dello psicologo come fondatore del Ravera Children Reabilitation Center (ora amministrativamente affidato interamente a locali) , alle porte di Freetown, con lo scopo di fornire supporto clinico, ma anche materiale, a una delle categorie più fragili del paese, i giovani traumatizzati dalla drammatica situazione sociale ed economica della Sierra Leone. Nell’opera, lo psicologo ha riversato i ricordi della sue esperienza nel paese della Western Africa, spezzato dalla guerra civile che ha fatto conoscere al mondo l’esistenza dei bambini soldato prima, da una dilaniante epidemia di colera poi, e percorso da una instabilità politica culminata nel recentissimo tentativo di golpe militare, che lo stesso dottore testimonia alla sala gremita. Un paese dove il 70% dei giovani è disoccupato e l’80% della popolazione vive sotto la soglia della miseria. Un paese dove il corpo umano è intrinsecamente legato alla magia e a quello che accade nel mondo degli spiriti.
Dove le istituzioni percepiscono tasse da associazioni che svolgono servizi che lo stato dovrebbe erogare. Dove c’è pieno di bambini, dove si sente il calore, il contatto fisico, dove la riconoscenza è grande e “dove proprio ti vogliono bene». L’antropologia, appunto, di un mondo a parte.
"Vedere la nostra realtà in modo meno cristllizzato"
«Non ho scritto questo libro con fare autocelebrativo- ha detto il dottore-. Ma perché testimoniare una realtà diversa dalla nostra ci può aiutare ad avere una visione meno cristallizzata verso la nostra quotidianità. Noi occidentali soffriamo tutti della stessa malattia, non riusciamo a guardare, spesso, più in la del nostro ombelico, con le nostre ansie, le nostre paure, i nostri progetti e le nostre aspirazioni. A volte abbiamo paura di affrontare l’ignoto e affrontare l’ignoto è quello che ho provato io la prima volta che sono andato in Sierra Leone. E, a volte, ci si sente soli». La prima esperienza in Sierra Leone, Ravera l’ha avuta con il missionario Padre Berton che, al termine della guerra civile, si è battuto per riconoscere di fronte alle Nazioni Unite uno status ad hoc per i bambini soldato che i tribunali speciali avrebbero altresì giustiziato per crimini di guerra. E il conflitto, il dolore e la miseria ritornano spesso nell’opera e nei ricordi dello psicologo.
«Racconto determinate cose, nel libro, non per fare pornografia del dolore, ma per aiutare ad avere una visione diversa del mondo. Ricordo la prima volta che ho visto il manicomio di Freetown, con i pazienti incatenati al letto e un bidone per i bisogni. Ricordo un ragazzo in un carcere, in preda a una crisi psicotica, che io feci trasportale in ospedale. Quando ritornò, era astato riempito di botte. Ricordo una donna, che mi ha portato il figlio, con una dignità statuaria, affetto da un tumore all’occhio (molto comune nell’Africa subsahariana). Quando le ho detto che avrei potuto fare poco e le ho dato dei soldi e dei medicinali, lei, con la stessa calma granitica, mi ha ringraziato e se ne è andata. Ho saputo poco dopo- la voce trema- che il bimbo è morto. Così come ho incontrato una donna, per la strada, che mi ha chiesto di prendere con me i suoi figli, ma di non farle sapere dove li avrei portati».
I "traditional healers"
Nel suo centro, il dottor Ravera, come ha spiegato durante la presentazione, non solo si occupa della salute mentale dei suoi giovani pazienti, ma li instrada verso un percorso proficuo, paga gli studi e i materiali per frequentare le lezioni, oltre che ad aver portato l’aspetto sociale riabilitativo nelle carceri della Sierra Leone: lavoro, lezioni, sport, corsi e tutto quello che serve a far sì che un detenuto possa uscire dalla cella con una briciola in mano per ricostruire il futuro. E non è semplice, perché l’attività dello psicoterapeuta si scontra sia con la difficoltà delle autorità e dei cittadini a riconoscere e accettare i disturbi mentali, sia con la tradizione sciamanica e i “traditional healer”.
«Ho visto- ha raccontato il dottore- curare l’epilessia bevendo la propria urina, per purificare il corpo e lo spirito dai demoni che la causavano. Però non bisogna imporsi con supponenza, non bisogna avere un atteggiamento post-coloniale, come coloro che danno tutto e portano la luce. Bisogna scendere insieme a loro e poi risalire insieme».
Il golpe in Sierra Leone
Nel racconto del dottore, trova spazio anche la drammatica attualità, sfociata nel tentativo dl colpo di stato perpetrato da un gruppo di militari la sera del 26 novembre. «Io ero in Sierra Leone, e gli scontri si sono svolti vicino al centro di riabilitazione. I militari hanno assaltato il carcere liberando oltre 2mila prigionieri politici, poi si sono divisi e un gruppo si è diretto verso la residenza del presidente per catturarlo o giustiziarlo. I giorni successivi era il caos: a parte il coprifuoco imposto dalle autorità, sono iniziate anche le rappresaglie. Al centro si è presentato un bambino, terrorizzato, che sosteneva di aver visto dei militari giustiziare con un colpo in testa un uomo nel suo villaggio. Gli ho chiesto come si sentisse e lui mi ha risposto “non voglio che nel mio paese arrivi la guerra”. La loro situazione politica è difficile- spiega il dottore-, il presidente è democraticamente eletto per modo di dire, sono numerose le forze e le istituzioni anche sovranazionali che contestano la validità delle consultazioni. Oltretutto, esercita il pugno di ferro con la stampa e in occasione delle manifestazioni a Freetown contro il caro vita ha ordinato di sparare sulla folla. Da psicologo Asl, so che alcuni migranti che raggiungono Ventimiglia sono della Sierra Leone, soprattutto giornalisti in fuga o appartenenti alla comunità Lgbtq+ che nel paese, come in molti altri dell’Africa Subsahariana, sono in concreto e diretto pericolo di vita».
"Viva l'utopia"
«Quello che ho fatto sarà una goccia nell’oceano- ha concluso il dottor Ravera, tra gli applausi-, ma io dico: viva l’utopia. Se misuriamo ogni passo prima di esserci mossi, non andremo mai da nessuna parte. nel frattempo io ho aiutato qualcuno».
Davide Izetta