La coperta di Ysuf

Vito Fiorino, l'eroe di Lampedusa: "Quella notte senza luna, tra le grida di aiuto"

La testimonianza del pescatore che nell'ottobre 2013 salvò 47 migranti al largo di Lampedusa

Vito Fiorino, l'eroe di Lampedusa: "Quella notte senza luna, tra le grida di aiuto"
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«Quella notte non c’era la luna, ma solo la mia barca, la Gamar, che ho scoperto in seguito significare, in arabo, proprio luna, anche se si scrive diversamente». Lo ha detto Vito Fiorino, 74 anni, ora gelataio, l’uomo che con la sua barca, il 3 ottobre del 2013, salvò 47 migranti da un naufragio al largo di Lampedusa, una tragedia in cui persero la vita 368 persone. Fiorino è stato ospite nei giorni scorsi, del Comitato “la coperta di Yusuf” in una serie di incontri, prima con gli studenti delle scuole medie e superiori e poi alle opere parrocchiali di Santa Maria degli Angeli a Sanremo, a margine dell’iniziativa che vede la raccolta di quadratini di stoffa da cucire in una grande coperta, simbolo dello scialle che una lampedusana pose sulle spalle di Haijay, 18 enne, la mattina dell’11 novembre 2020, quando suo figlio Ysuf, 6 mesi, morì in un altro naufragio in mare.

 

La testimonianza di Vito Fiorino che salvò 47 migranti da un naufragio

Nel corso dell’incontro, Vito Fiorino ha raccontato la sua preziosa testimonianza. «Quella notte- ha detto- io e il mio gruppo di amici, in totale otto persone, eravamo usciti con la Gamar (da Gabriel e Martina, i nipoti di Fiorino, ndr) come spesso facevamo, la sera, per mangiare, bere e fare il bagno. Avevamo deciso di dormire in mare e rientrare la mattina presto dopo una breve battuta di pesca».

«È stato il mio amico Alessandro-ha aggiunto, sul filo dei ricordi- ha mettere in moto la Gamar e a dire, all’alba, seno “vociare”, che in siciliano significa urlare di terrore. Abbiamo seguito le urla e nel buio più totale, ci siamo trovati di fronte a una scena che non scorderò mai: erano 500 persone, in acqua, seminude, perché si erano passate la voce che i vestiti ti trascinano a fondo, che urlavano in cerca di aiuto. Ho saputo che molti non avevano neanche mai visto il mare. Ho detto “Alessandro, quattro o cinque li salviamo”, la barca è omologata per otto, la multa la prendo volentieri. Così ho passato l’alba a tirare salvagenti a quei disperati: alla fine erano 47. Erano nudi e coperti di gasolio, era difficile tirarli su a bordo. Al primo ho lanciato il salvagente a un metro, perché non volevo fargli male, ma è rimasto impietrito, non si muoveva. Da allora, lo tiravo direttamente addosso ai migranti».

A causare il naufragio un incendio scoppiato a bordo della nave con il motore in panne, generato nel tentativo di attirare l’attenzione con una maglietta imbevuta di gasolio e “accesa”. La barca, con oltre 500 disperati a bordo, in maggioranze eritrei, si è ribaltata quando oltre alle fiamme è divampato anche il panico.

Il memoriale a Lampedusa

«Sono i miei figli e io sono il loro padre- ha detto Vito Fiorino- sono 47 medaglie che ho al petto. La scorsa estate, a Lampedusa, è arrivato Solomon, uno dei giovani eritrei che ho salvato e mi ha presentato Maria, la sua bimba, che è come se fosse una mia altra nipote. Quasi tutti non sono più in Italia, stiamo anche girando un documentario sulla loro storia dopo il naufragio, “A Nord di Lampedusa”».

«Dopo la tragedia- ha detto- ero tormentato dal fatto che i 368 morti fossero senza nome, avessero solo un numero. Così con l’aiuto dei miei ragazzi e di Gariwo (associazione che estende il titolo di Giusto tra le Nazioni non solo a chi ha salvato ebrei durante le persecuzioni nazifasciste, ma a tutti coloro che hanno lottato in favore dei diritti umani, ndr), abbiamo realizzato un memoriale per queste persone. I miei ragazzi hanno rintracciato 366 nomi su 368 e abbiamo inaugurato il monumento. Mi chiedo- ha aggiunto- come gli esseri umani possano essere così malvagi da poter pensare solo al loro tornaconto economico. E mi chiedo come possano, alcuni, vivere della retorica dell’invasione, quando noi europei abbiamo spolpato l’Africa e venduto armi ai dittatori che la opprimono. Dico questo perché, sappiate, sono stato migrante anche io».

 

Vito Fiorino: "Sono stato un migrante anche io"

Vito è nato, infatti, a Bari: suo padre lo ha conosciuto solo quando si è trasferito con la mamma e i fratellini a Milano, per raggiungere il babbo. Vivevano in una cantina, all’ingresso della quale c’era il laboratorio del genitore, falegname. Erano gli anni dei cartelli “Non si affitta ai terroni”, del “ci vengono a rubare il lavoro”. Vito ha conosciuto la miseria. Ha lavorato prima in un ufficio come dipendente, ma gli sembrava una prigione. Così è tornato a lavorare nel laboratorio del padre. Poi, si è messo in proprio, ha affittato un capannone, ha comprato diversi macchinari e assunto dipendenti. Allestiva fiere in tutto il mondo. Quasi per caso, si è trovato in vacanza a Lampedusa e se ne è innamorato. Ha aspettato che tutti i suoi dipendenti trovassero un nuovo impiego e si è trasferito nell’isola che gli ha rubato il cuore. Ha aperto una gelateria e ha costruito una barca perché, racconta, a Lampedusa hanno tutti una barca. Quando la costruiva, sul marciapiede, gli dicevano “Sei pazzo”. Poi, a lavoro ultimato “facisti uno Yotto”.
Quella barca che è ancora sull’isola, ma lui non l’ha più, perché porta ricordi troppo dolorosi, quella barca che porta il nome dei suoi nipoti e della luna che quella notte non c’era. Quella barca con cui ha salvato 47 persone, 46 uomini e una donna, terrorizzati, seminudi, abbandonati in acqua per ore. In quelle acque dove una delle presenti all’incontro ha ammesso «È difficile non risentire le grida di dolore».

Davide Izetta

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