Le Foibe e l'esodo

Seduta solenne del Consiglio regionale per il Giorno del Ricordo

Una giornata per commemorare le vittime italiane dei partigiani di Tito

Seduta solenne del Consiglio regionale per il Giorno del Ricordo
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Questa mattina, in videoconferenza, si è svolta la Seduta solenne del Consiglio regionale, dedicata al Giorno del Ricordo.

 

Seduta solenne del Consiglio per ricordare le vittime dei partigiani di Tito nel Giorno del Ricordo

La cerimonia è stata istituita dalla legge regionale 24 dicembre 2004 n.29 “Attività della Regione Liguria per l’affermazione dei valori della Memoria del Martirio e dell’Esodo dei Giuliano Dalmati” e rappresenta il tributo dell’Assemblea legislativa della Liguria in memoria delle vittime italiane della feroce persecuzione attuata dalle formazioni partigiane del maresciallo Tito contro la popolazione della Venezia Giulia, Istria e Dalmazia dal 1943 fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. In quegli anni intere famiglie morirono nelle foibe e altre decine di migliaia di persone furono costrette alla fuga, provocando un drammatico esodo verso l’Italia e lo spopolamento delle città che si trovano lungo la costa nord orientale del mare Adriatico da secoli abitate dalla comunità italiana.

 

La seduta

Il presidente del Consiglio regionale Gianmarco Medusei ha invitato gli ospiti ha osservare un minuto di silenzio in memoria delle vittime della persecuzione; è seguita la proiezione del filmato dell’Istituto Luce “L’esodo degli Italiani da Pola”, con le toccanti immagini della fuga precipitosa di centinaia di migliaia di persone, dei saluti fra le lacrime, delle povere masserizie accumulate in tutta fretta in porto prima di imbarcarsi per l’Italia. Dopo la documentazione video il presidente Medusei ha ripreso la parola con un breve indirizzo di saluto. L’orazione ufficiale è stata tenuta da Franco Papetti, presidente dell’Associazione Italiani Fiumani nel Mondo e vice Presidente vicario di Federesuli, l’associazione che coordina le più importanti associazioni degli esuli fiumani, giuliani e dalmati.

 

"La più grande strage di Italiani in tempo di pace"

" Questa Assemblea - ha detto Medusei -   ha celebrato quella che si deve riconoscere come la più grande strage di Italiani in tempo di pace. Questa è l'essenza di questo giorno, una tragedia che ha subìto per oltre 50 anni l'ostracismo della storia e che ha costituito un oltraggio per le vittime tutte. Sia per quelli che persero la vita nelle nere gole del Carso, come quelli che furono costretti a fuggire per salvarsi». Secondo Medusei «l'esilio non si sceglie, 'esilio si subisce, è la risposta estrema alla più estrema minaccia. Furono poco più di un centinaio i campi profughi, vennero adattate alla benemeglio allo scopo conventi, ospedali, caserme, edifici scolastici e fin anche i campi di concentramento e di prigionia. Tra i tanti ricordiamo la Risiera di San Sabba e il campo di concentramento di Fossoli. Fu così anche in Liguria che vide l'allestimento fortunoso dell'ex colonia marina Fara a Chiavari e della caserma Ugo Botti a La Spezia. Oggi - ha proseguito - facciamo memoria delle vittime delle foibe e del dolore e dei patimenti degli esuli, convinti – ha concluso - che comprendere a fondo le vere ragioni storiche, capire le implicazioni politiche a livello internazionale, studiare le dinamiche che presiedettero il sogno panslavista, con lucida obiettività storica, senza sconti e senza pregiudiziali, sia l'unico modo di rendere loro onore».

 

La relazione di Papetti

Il relatore ha fatto alcuni cenni storici sulla storia dei territori che dalle Alpi Giulie raggiungono l’Istria e, lungo le coste orientali sul Mar Adriatico, si estendono da Fiume al confine fra Montenegro e Albania: dall’occupazione dell’Impero romano, al dominio della Repubblica di Venezia e, successivamente, dell’Impero Asburgico fino all’avvento del fascismo, «che si propose l’obiettivo della bonifica etnica per italianizzare le zone abitate dagli slavi», alla successiva invasione della Jugoslavia del 1941, che scatenò la prima persecuzione contro le popolazioni italiane, all’occupazione nazista del 1943 e, infine, la ripresa delle persecuzioni degli italiani nel 1945. «La repressione - ha spiegato Papetti - partì dal movimento rivoluzionario jugoslavo che si stava trasformando in regime convertendo, quindi, in violenza di stato l’animosità nazionale ed ideologica diffusa nei quadri partigiani per annettere alla nuova Jugoslavia tutta la Venezia Giulia togliendo di mezzo quella classe dirigente che avrebbe potuto difendere l’italianità di quelle terre».

 

Papetti ha fornito alcune cifre del drammatico esodo: il 90% della popolazione italiana abbandonò i territori ceduti alla Jugoslavia dopo il trattato di Pace di Parigi del 10 febbraio 1947. «Se ne andarono operai ed intellettuali, uomini in vista e contadini. Se ne andarono
– ha spiegato – per fuggire al clima di repressione, insicurezza e paura instaurato dal regime totalitario comunista jugoslavo, per sfuggire alla politica di snazionalizzazione e anche per ragioni economiche legate all’eliminazione della proprietà privata, alla
nazionalizzazione delle fabbriche, al livellamento degli stipendi». Ma l’Italia «si dimostrò impreparata ad accogliere un così alto numero di persone in quanto era completamente distrutta dalla guerra e agli inizi di una dura ricostruzione».Papetti ha, quindi, illustrato le
cause dell’«oblio di questa tragedia durato 50 anni»: equilibri internazionali, in quanto Tito era l’unico argine alla pressione sovietica sul Mediterraneo, la necessità della neo Repubblica di riscattarsi dal fascismo e di dipingere la Resistenza, anche quella jugoslava,
come eroica e cristallina. «La svolta – ha aggiunto - è avvenuta con la fine della guerra fredda e della contrapposizione dei blocchi nel 1996 e, finalmente, con la legge 92 del 30 marzo 2004 con cui viene istituito il “Giorno del ricordo”, con cui la storia della Venezia Giulia diventa parte della storia nazionale. Agli esuli viene riconosciuta la dignità della difficile scelta di rimanere italiani al cui valore umano e civile sacrificarono tutto, ma il “Giorno del Ricordo” deve essere un punto di partenza per nuovi riconoscimenti.

 

"Siamo di fronte  - prosegue - al tentativo concreto di ricomposizione di un popolo che gli eventi storici hanno così duramente punito, una ricomposizione tra esuli e coloro che scelsero o furono costretti a rimanere». Secondo Papetti «le Foibe e l’Esodo devono diventare un’occasione di ulteriore riflessione sulla costruzione dell’Europa dei popoli, basata su comuni aspirazioni di democrazia e di tolleranza. Le memorie non potranno essere mai totalmente condivise, ma la possibilità di incontrarsi e confrontarsi rappresenta un traguardo raggiungibile. Gli esuli oggi lottano perché la loro cultura, la loro storia, le loro tradizioni possano non solo essere ricordate, ma continuare ad esistere».

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