Cold case in Svezia: processo Aldobrandi si apre con terza aggravante per omicidio
Il processo contro Aldobrandi si è aperto stamani davanti alla Corte di assise di Imperia. E' accusato di omicidio
Il processo si è aperto davanti alla Corte d'assise di Imperia
Si è aperto stamani, con l’ammissione delle prove e con le eccezioni preliminari, davanti alla Corte di assise di Imperia (presidente Carlo Indellicati), il processo contro Salvatore Aldobrandi, 73 anni, originario di San Sosti (Cosenza), ma da anni residente a Sanremo, arrestato il 17 giugno scorso su ordine del gip di Imperia, perché sospettato di aver ucciso Sargonia Dankha, 21 anni, di origini irachene, naturalizzata svedese, sparita nel nulla da Linköping nel primo pomeriggio del 13 novembre del 1995. E' accusato di omicidio volontario aggravato dai motivi abietti e futili e la soppressione di cadavere.
La prima grande novità è la contestazione
da parte dei pm Maria Paola Marrali e Matteo Gobbi di una terza aggravante, quella della recidiva specifica infraquinquennale, dovuta a due condanne di Aldobrandi, antecedenti l’omicidio, per violenza sessuale e maltrattamenti. “Quello della recidiva - ha affermato Gobbi - è un aspetto tecnico che deriva dal fatto che in Svezia Aldobrandi risulta, da casellario giudiziario estratto e comunicato alla procura di Imperia, e anche sulla base di altre sentenze che sono state acquisite, aver commesso atti di maltrattamento e di violenza sessuale in epoca antecedente rispetto ai fatti per cui oggi è a processo”.
La procura, inoltre, aveva chiesto di eseguire nuovi accertamenti
sulle tracce ematiche trovate nell’abitazione dell’imputato. “Sulle tracce ematiche trovate in casa dell’imputato abbiamo fatto un’ulteriore consulenza - ha affermato Marrali - naturalmente a distanza e solo sulle fotografie, ma si tratta di polizia giudiziaria estremamente specializzata. Quindi, hanno tratto degli argomenti molto importanti per quanto riguarda l’arma del delitto, la posizione della vittima e dell’aggressore. Dati che sicuramente servono a integrare e corroborare il nostro quadro accusatorio”.
Nel corso dell’udienza l’avvocato Francesco Rubino
legale di parte civile della mamma Ghariba Shabo e del fratello Ninos ha chiesto di ammettere tra le fonti di prova anche al consulenza di una psicoterapeuta (Anna Bellabio). “Abbiamo chiesto anche l’intervento di una psicoterapeuta, perché riteniamo sia fondamentale. L’aggravante dei motivi abbietti, infatti, impone alla Corte delle chiavi di lettura non solo giuridiche ma anche psicologiche per comprendere il rapporto tra quell’uomo e la vittima, com’era questo rapporto e come veniva gestito. La psicoterapeuta avrà a disposizione solo gli atti della Corte e su quelli darà il proprio parere di esperto non sui fatti di reato, ma darà i criteri psicologici alla corte per comprendere determinate dinamiche relazionali tra un uomo e una donna”.
Dall’altra parte Aldobrandi continua a professarsi innocente
“Quando gli ho chiesto delucidazioni su alcuni aspetti che emergevano dalle carte - ha detto l’avvocato della difesa, Andrea Rovere - lui mi ha risposto: sono passati ventotto anni, non ricordo. Allora, ho replicato: ‘figurati se non ricordi un procedimento per omicidio’ e la risposta è stata: ‘se l’avessi fatto l’omicidio, me ne ricorderei sicuramente; ma siccome non l’ho fatto”.
Rovere ha poi aggiunto: “E’ un processo indiziario, perché non sono stati trovati né il corpo né l’arma del delitto. Inoltre, c’è un problema tecnico, perché è un procedimento che si fonda su accertamenti, parlo di quelli scientifici, risalenti a ventotto anni fa, ma che per devono essere utilizzati adesso. Io, allora, voglio sapere ventotto anni fa come sono state acquisite le prove, con quali sistemi, visto che non c’erano gli strumenti scientifici che abbiamo oggi. Ci saranno, poi, alcuni elementi che emergeranno nel corso dell’istruttoria dibattimentale ed è il motivo per cui mi sono opposto all’acquisizione degli atti svedesi realizzati ventotto anni fa, senza rispetto delle garanzie italiane. Non ho interesse a scappare dal processo, io mi difendo ma voglio avere il diritto di esaminare i testimoni”.
Il dolore della mamma del fratello di Sargonia
“Siamo sbattuti, non voglio assolutamente guardarlo negli occhi. Chiediamo solo giustizia, giustizia, giustizia. Nei suoi confronti non diciamo nulla, perché non abbiamo parole da sprecare. Mia sorella era la persona più socievole e amichevole che abbia mai incontrato”.
E’ con queste poche parole piene di rabbia, amarezza e commozione, che Ninos Dankha, fratello minore di Sargonia, ha esordito oggi davanti ai giornalisti all’apertura del processo per il presunto omicidio della sorella Sargonia. Al suo fianco c’era anche la mamma Ghriba Shabo.
“Essere qui è molto triste - ha dichiarato -. Mi ha completamente distrutto vederlo (Aldobrandi, ndr). Non ho mai smesso di lottare per conoscere la verità. Voglio sapere cosa ha fatto. Sono stata mamma di Sargonia per ventuno anni, ho molti ricordi: lei era gioia e amore nella nostra, casa. Poi è stato il vuoto. Suo fratello non riesce più a stare in quella casa, perché è vuota”.
Ha aggiunto il genitore: “Spero davvero che la giustizia italiana possa darci una risposta dopo 28 anni e che i testimoni svedesi che sanno cosa è successo al corpo, lo dicano alla Corte. Io ho vissuto la mia vita, mio figlio ha ancora la sua da vivere: per questo dobbiamo avere delle risposte”. Cosa vorrebbe dire ad Aldobrandi? “Se ha un cervello e un cuore, direbbe cosa è successo. Ho perso un figlio prima della sparizione di Sargonia e poi lei, e lui ancora mi fa questo”.
Davvero sfortunata la famiglia di Sargonia
Originaria di Bagdad, in Iraq, si è spostata in Svezia, quando la bambina aveva solo quattro anni e Ninos 9 mesi. Un terzo fratello maggiore è morto l’anno prima della sparizione di Sargonia; mentre il papà dei due giovani è mancato nel 2020. “Ieri sera erano molto preoccupati da come avrebbero reagito alla vista di Aldobrandi - ha affermato il legale di parte civile della famiglia Dankha, Francesco Rubino, parlando dei familiari - e si sono imposti di non guardarlo, perché non vogliono vendetta ma giustizia e sperano ancora di scoprire dov’è il corpo della figlia e della sorella”.
Fabrizio Tenerelli
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