Sanremo

«Per essere riconosciuta come madre l'unica strada... è adottare mio figlio». La storia di Jessica e Valentina (ed Ethan)

Dal processo di fecondazione alle difficoltà incontrate. Il racconto a La Riviera

«Per essere riconosciuta come madre l'unica strada... è adottare mio figlio». La storia di Jessica e Valentina (ed Ethan)
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«Noi nostro figlio lo abbiamo voluto due volte. Lo abbiamo proprio cercato». Così Jessica Blengino e Valentina Parigino, sanremesi, sposate, che hanno raccontato a La Riviera il lungo percorso per avere un bambino- Ethan, due anni-, tra il difficile iter della fecondazione assistita, le difficoltà derivate da una società che non è pronta, a volte, ad accettare due mamme come genitrici di un bimbo e l’amore immenso, esploso nella loro casa dopo il parto.

La storia di Jessica e Valentina, un figlio con il metodo Ropa

Jessica, ex trasportatrice di una ditta floricola e magazziniera di un supermercato e Valentina, dipendente di un negozio nel pieno centro di Sanremo, hanno scelto il metodo Ropa (Recepción de Óvulos de la Pareja, ossia Ricezione degli Ovociti della Partner, ndr) per la fecondazione in vitro, effettuata in Spagna, in una clinica a Barcellona. ll procedimento è lungo, complesso e dispendioso, ma permette a entrambe di partecipare alla gravidanza: gli ovuli sono di Jessica, fecondati con lo sperma di un donatore, come in ogni caso anonimo, e impiantati nell’utero di Valentina che ha fisicamente portato a termine la gravidanza.

«Anche in questo caso, non è stato semplice. E’ difficile aprirsi nei confronti anche dei medici, perché non sai mai la reazione che potrebbero avere- spiegano-. Per fortuna il ginecologo si è accorto di che cosa stavamo facendo e ha iniziato a prescriverci le iniezioni (la stimolazione ovarica per produrre gli ovociti) in modo che ce le passasse la mutua». Entrambe ammettono, spesso, di aver scelto delle “scorciatoie” per non dover spiegare a tutti che cosa stava succedendo realmente. Ma anche di avere, altrettante volte, affrontato di petto la situazione. Non a caso, la parola che torna spesso, nel flusso del racconto, è “coraggio”. Non è stato semplice. Anche con la famiglia, o alcuni componenti. Altri, invece, hanno solo avuto bisogno di tempo per metabolizzare “il boccone”.
«Non parliamo più con alcuni membri della famiglia- la triste considerazione- perché volevano dire a Ethan che suo padre lavora all’estero. confrontarsi con alcune persone dalla mentalità chiusa è una delle parti più difficili».

 

Valentina e Jessica sono fidanzate da cinque anni, sposate da due. La loro storia d’amore è stato un piacevole “effetto collaterale del Covid”. La convivenza con il lockdown le ha unite di più. E si sono vicendevolmente confessate il desiderio di avere una famiglia insieme. Fin da piccole, hanno entrambe maturato il sogno di avere una famiglia, dei figli. «La gravidanza l’ha portata a termine Valentina-spiega Jessica- perché io non mi sono mai identificata come una donna e non riuscivo proprio a vedermi con la pancia. Abbiamo anche deciso che fino a che Ethan non andrà a scuola, io resterò con lui a fare la mamma a tempo pieno. Il fatto è- spiega- che per lo Stato io non sono nulla. L’unica strada percorribile è la step child adoption, che stiamo portando avanti, anche se a Sanremo le pratiche paiono essere più lunghe rispetto che ad altre città italiane. Solo così posso acquisire dei diritti nei confronti di Ethan. Una volta è scivolato dal seggiolone e ho chiamato il 112, ma è stata Valentina che è dovuta andare via dal lavoro per accompagnarlo in ospedale. Nostro figlio lo abbiamo voluto e cercato, è surreale che abbia meno diritti di chi un figlio in realtà non lo ha mai voluto. l’amore non lo fa l’orientamento sessuale o altro, le famiglie si costruiscono con l’amore».
A seguire la pratica è l’avvocato e celebre attivista Cathy La Torre.

 

Un momento meraviglioso? «Il battesimo di Ethan con i frati di San Martino. nel libretto c’era la formula che parlava proprio di “mamme”. Ci hanno anche chiesto di portare altre coppie omogenitoriali a battezzare i bambini. Erano giovani e gentili».
Paura per il futuro? «Sinceramente sì. Temiamo il momento in cui Ethan si dovrà confrontare con i suoi compagni di classe e con i loro genitori. ma siamo pronte a dare battaglia. In alternativa, ci sono altri stati d’Europa, come la Spagna, dove le discriminazioni sono minori e possono dare un futuro migliore a Ethan». Massima serenità quando spiegheranno a Ethan, invece, come è avvenuto il suo concepimento. «Abbiamo la tecnologia- spiegano- non sarà difficile fargli capire che cosa è successo».
«Avere un figlio- ammettono- ti cambia la vita. Non usciamo più ogni sera , abbiamo ristretto la cerchia di amicizie. Tutto è proiettato verso Ethan, verso la sua protezione. Facciamo tutto insieme, mangiamo, giochiamo, andiamo in vacanza. Siamo noi quattro, compreso anche il nostro pitbull. Ci piacono la natura e le escursioni e vogliamo trasmettere queste passioni anche al nostro piccolo».

Davide Izetta

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