Le "cene pop" sanremesi dello chef pluristellato Davide Oldani
"Gualtiero Marchesi? Prima che un maestro... un signore. Ci arrivai grazie a mio padre... ma poi devi essere in grado di restarci a quel livello"

In occasione del doppio appuntamento realizzato a Sanremo, con due cene a quattro mani realizzate con Alessandro Schiavon, resident chef dell'hotel 5 Stelle Europa Palace, abbiamo incontrato e intervistato lo chef pluristellato Davide Oldani, l'inventore di quella che lui stesso ha ribattezzato cucina pop. Una lunga intervista in cui Oldani si è aperto rivelando anche aspetti della sua carriera a molti sconosciuti, a cominciare dalle origini, accanto a quello che più di tutti è stato il suo mestro, il grande Gualtiero Marchesi.
L'intervista a Davide Oldani
Da oltre vent’anni le guide più affermate lo annoverano tra i grandi chef del panorama nazionale e internazionale. Decisamente tra i più cool, per l’eleganza ricercata nel vestire, la capacità di porsi e la presenza: alto, atletico, gentile. Davide Oldani e la sua “cucina pop” hanno registrato il sold out ai tavoli del suggestivo ristorante sulla terrazza del prestigioso albergo sanremese inaugurato nel gennaio di quest'anno.
“Milano-Sanremo-Milano” è il titolo di questo doppio appuntamento con l’alta ristorazione proposta all’Europa Palace dallo chef milanese che cinque anni fa ha conquistato con il suo D’O di Cornaredo la seconda stella Michelin. Alla quale si sono aggiunte una stella verde e, quest’anno, la stella conquistata anche dall’altro ristorante (Olmo), aperto due anni fa a poche decine di metri, sulla stessa piazza.
Nei piatti proposti c’era tanta Liguria, dal gambero rosso con olive taggiasche e olio al basilico al coniglio in salsa di Rossese ed eucalipto della Riviera, abbinato a un Pigato, per chiudere con un bacio di Sanremo e un Moscatello di Taggia passito. Naturalmente, nel mezzo, c’è molto altro, dagli gnocchi arrostiti al caviale alle sarde croccanti al melone cantalupo, con coste di lattuga, porto e riso.
Chef Oldani, com’è stato il suo approccio con Sanremo?
«Ma io da queste parti vengo spesso, in particolare dallo scorso anno quando mia figlia, Camilla Maria, che ha 11 anni, ha iniziato a frequentare il Piatti Center di Bordighera. Tanti anni fa ci venivo anche più spesso, quando lavoravo a Montecarlo con Alain Ducasse, che andrò a trovare in questi giorni. Poi, attraverso la conoscenza con Stefano (Venturi, direttore dell’Europa Palace, ndr), è nata l’idea di questo progetto. Tra l’altro sono ambasciatore del vermentino ligure».
Cosa pensa della cucina ligure?
“Quello che penso della cucina regionale in genere. Che in pratica non c’è più. La cucina italiana, ed è un percorso virtuoso e positivo, si sta uniformando, si sta legando alla stagionalità, ai prodotti del territorio, che siano carne o pesce, frutta o verdura. Piuttosto la Liguria la vedo molto sotto il profilo dei profumi».
Il termine “cucina pop”, coniato da lei, integra due locuzioni apparentemente contrastanti: alta qualità e accessibilità. Non da ora, ma soprattutto in questi ultimi mesi la crisi alimentare nei luoghi di guerra è devastante, a Gaza è un’emergenza umanitaria. Come si coniuga la cucina raffinata, il fine dining, con l’assenza di cibo per milioni di persone?
«Guardi, la ringrazio di questa domanda. La situazione a Gaza è drammatica come in altre parti del mondo dove si muore di fame. Il significato di cucina pop è molto più profondo, non è un discorso di nicchia, piuttosto è cercare di promuovere una cultura del cibo positiva. Il fine dining dovrebbe tracciare una strada di responsabilità rispetto a come mangiamo, al fatto di mangiare meno e meglio, cose nutrienti, di fare sport e muoversi, perché il cibo è attraente ma può essere pericoloso e bisogna prendersi del tempo per sapere cosa stiamo mangiando».
In una recente intervista ha paragonato le qualità della carota alle qualità di Jannik Sinner. Cosa intendeva?
«Mi piaceva l’accostamento, ma non alludevo all’aspetto cromatico. Intendevo che la carota è un ingrediente molto duttile, che si declina dal dolce al salato. Proprio come Sinner, bravo su tutte le superfici».
Lei è uno sportivo. E’ anche un bravo tennista?
«Se guardo a mia figlia no. Non ho la sua naturalezza nel colpire la palla e farla correre veloce… però da giovane ero un discreto calciatore. Fino a sedici anni quantomeno: esordio in serie C2, poi un brutto infortunio e addio».
Si diploma all’alberghiero ed entra in quella che negli anni ‘80 è l’università della gastronomia: la cucina di Gualtiero Marchesi!
«Prima che un maestro, un signore, un professionista incredibile, una persona dotata di grande intelligenza ed educazione: mai una parola fuori posto o sopra le righe, mai sentito urlare. Per me un secondo padre».
Un segno del destino trovarsi in quegli anni accanto all’innovatore per eccellenza tra i cuochi italiani...
«Entrai da Marchesi grazie a una raccomandazione, un piacere fatto a mio papà. Poi, certo, a quel livello devi saperci restare... e a 18-19 anni non è facile se non c’è passione e voglia di sacrificarsi. Per questo i giovani che oggi vengono da me li guardo negli occhi per capire prima di tutto che persone sono. Quando ho iniziato non sapevo sfilettare un pesce o disossare la carne, ma ero onesto ed educato. Qualità che ho potuto ammirare in Gualtiero Marchesi, assimilandole».
Perché D’O? Le sue iniziali?
«Anche. In giapponese significa “via”, noi abbiamo aggiunto via/percorso giusto. Sono trascorsi 22 anni… credo di averlo imboccato quel percorso».
Otto anni fa ha inaugurato anche un istituto alberghiero nella sua Cornaredo...
«Una cosa che mi rende molto orgoglioso, perché l’ho visto nascere dal nulla. Ora abbiamo 400 studenti che stiamo formando per dare loro un futuro in questo settore».
Qui in Liguria, ma probabilmente non solo, c’è fame di giovani nella ristorazione. Si lamenta una carenza del 25-30% di camerieri e cuochi…
«È un mestiere che bisogna avere voglia di fare. Ma va anche un po’ rivista la narrazione. Io ero animato e motivato da una sorta di missione, mentre ora credo che i giovani debbano alimentare di più la passione per questo lavoro, che necessariamente dovrà avere orari consoni. Ma sotto questo aspetto c’è qualcosa che sta cambiando».
La famosa “cipolla caramellata” resta il suo piatto iconico?
«Diciamo che rispetto a qualche anno fa – nell’equilibrio dei contrasti - attualmente è un po’ diversa”.»
C’è un secondo piatto irrinunciabile?
«Beh… zafferano e riso alla milanese D’O!».