La scrittura di libri come indagine del nostro tempo. In sintesi, questa la weltanschauung letteraria dello psicoterapeuta sanremese Fulvio Rombo.
Rombo: «Uso i romanzi noir per raccontare i nostri tempi»
Recentemente disponibile il suo ultimo romanzo noir “Oniride” (Golem) che chiude la trilogia dell’antropologo-detective della Città dei Fiori Pietro Genovese, in arte “Genio”, già protagonista di “Ayahuasca” e “Profanazione”. Abbiamo raggiunto lo psicologo – molto attivo sui temi “scottanti” dei giovani, della genitorialità e della scuola – per fare il punto sull’ultima fatica letteraria e sull’attualità.
Ci parli del romanzo…
«Il romanzo, noir, racconta le ultime avventure di Pietro Genovese, detto Genio, antropologo sanremese e consulente della Polizia di Stato e del suo gruppo di amici, tutti ultracinquantenni, che si definiscono l’A-Team e si identificano ciascuno con un personaggio della celebre serie TV degli anni Ottanta. Inutile sottolineare che le loro indagini spesso escono dal tracciato del protocollo e sono al limite della legalità. Procedono parallele a quelle che genio conduce insieme alla Squadra Mobile del Commissariato di Sanremo. Il primo contatto con la morte arriva con il decesso del professore Bruno Invernizzi, insegnante sezione O (lingue orientali) del Liceo Linguistico, precipitato da un cavalcavia mentre procedeva con il suo scooter in autostrada. La nipote del professore non si fida della versione ufficiale, che derubrica la vicenda a tragico incidente e si rivolge a Genio. Pochi giorni dopo, due studenti della classe di Invernizzi – una classe, per giunta, difficile, con situazioni al limite della legalità- scompaiono dopo aver frequentato una festa, Oniride, con delle specificità, a Bussana Vecchia. Possibile che la morte del docente e la sparizione dei ragazzi siano collegate?»
Gli ultimi casi di Genio. Le mancheranno i personaggi?
«È vero. Non amo le serialità troppo lunghe, quindi da un lato sono felice di aver concluso il cerchio. Dall’altro, mi mancano già, perché è una conclusione e le conclusioni sono sempre un po’ tristi. Il caso noir in sé è autosufficiente, ma i personaggi sono gli stessi della serie e si sono evoluti molto. Molto anche con la mia mano, con l’io narrante dell’uomo e dello psicologo che si spalma attraverso diversi personaggi».
Ecco, c’è qualcosa dello psicologo, in questi romanzi?
«Certamente. In Oniride parlo attraverso il romanzo del tempo in cui viviamo, con i temi che mi sono cari e che hanno contraddistinto la mia carriera. Non è un libro di psicologia, è letteratura fiction, ma umilmente mi permetto di parlare attraverso su alcuni temi importanti».

Facciamo un salto nell’attualità. Abbiamo assistito, recentemente, al pestaggio di un 21enne disabile perpetrato da altri giovanissimi e sono numerosi i fatti di cronaca che ci restituiscono protagonisti minorenni o poco più che adolescenti. C’è un disagio maggiore rispetto a prima?
«Rispondo con il romanzo. I giovani fuggono le etichette e le costrizioni e il disagio che sicuramente c’è – ma c’è sempre stato – non è l’unico aspetto attraverso il quale si possono definire. Ho una teoria però, che si riallaccia al mantra che mi ripeto sempre. A volte, i veri disagiati sono i genitori. Perché – a volte, è bene sottolinearlo – il disagio dei ragazzi è il riflesso di quello che vivono gli adulti. Soprattutto quelli della mia generazione, che vanno dai quaranta ai sessant’anni. Siamo stati educati e formati in un modo e ci siamo trovati del tutto impreparati ai cambiamenti sociali che hanno caratterizzato gli ultimi vent’anni».
C’è qualche punto di forza, invece, che generalizzando accomuna i giovani d’oggi?
«È difficile inquadrare i giovani, perché, come ripeto, rifuggono le etichette. Però, se dobbiamo cercare un punto in comune che potrebbe essere un vantaggio delle nuove generazioni, mi verrebbe da dire la ricerca dell’andare oltre sé stessi. Unirsi per fare le cose insieme è un processo che i ragazzi hanno capito meglio di altri e produce spesso risultati egregi che hanno molto da insegnare anche agli adulti».
Per il futuro? Qualche storia, qualche progetto?
«Storie, molte, Ho sempre amato scrivere racconti e continuerò a farlo. Sicuramente cambierò, magari non scriverò un noir con tutti i canoni del genere, che esistono per le librerie e non per i lettori, ma credo che resterò in questo spazio. Come dicevo, il noir è un genere che mi permette di parlare del nostro mondo. E i temi del male, della morte e della ricerca della verità mi sono molto cari».
Davide Izetta