Da barman a scrittore

Gabriele Palumbo e il viaggio "Tra ghiaccio e bicchieri"

Il libro, nato in lockdown: 21 storie "quasi vere" con protagonisti i drink più famosi del mondo

Gabriele Palumbo e il viaggio "Tra ghiaccio e bicchieri"
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Da barman a scrittore: l'intervista a Gabriele Palumbo che ha confezionato 21 storie sui drink più famosi al mondo.

 

Da barman a scrittore: Gabriele Palumbo si racconta

Gabriele Palumbp
La copertina di "Tra Ghiaccio e Bicchieri"

Ventuno cocktails, tra i più famosi e apprezzati e ventuno racconti che li hanno più o meno come protagonisti: questo è il filo conduttore di «Tra ghiaccio e bicchieri», il volume che supera un ricettario classico per diventare una vera e propria antologia, scritto da Gabriele Palumbo, conosciuto da tutti, nel capoluogo, come l’ex uomo dietro al bancone del Monkey di Imperia (ora lavora ad Albenga, dopo aver studiato all’Alberghiero e aver “girovagato” per tutta la Liguria e l’Italia, sempre con lo shaker in mano). A breve il volume sarà presentato anche in provincia di Imperia. Abbiamo raggiunto Gabriele per farci raccontare i retroscena dietro alla genesi del libro, nato “in lockdown” e il profondo legame tra la sua professione e le parole che ha impresso sulla carta.

 

L'intervista

Signor Palumbo, che cos’è «Tra ghiaccio e bicchieri«?
«È un volume che raccoglie 21 racconti “dedicati” a 21 cocktails, quelli più famosi, più di successo, diciamo. A volte i racconti sono ispirati da storie vere, a volte raccontano proprio vicende storiche legate alla bevanda, mentre altre volte sono del tutto inventati. Oltre al piacere della lettura, il lettore può imparare a preparare i cocktails a regola d’arte. Tant’é che non c’è un ordine specifico, uno può passare dallo spritz al gin tonic nell’ordine che meglio crede».

Come è nata l’idea di unire i cocktails alla letteratura?
«È un’idea che ho maturato durante il lockdown. Sentivo la mancanza del bancone e avvertivo l’urgenza di rimettermi in contatto con il mio mondo e con i clienti, in una maniera diversa rispetto al solito. Ritrovare l’empatia».

È un aspetto importante del suo mestiere?
«Assolutamente, il rapporto che si instaura con il cliente è fondamentale. Anche per capire cosa e quando uno vuole bere. Saperlo consigliare, saper cogliere l’empatia e instaurare un legame».

È vero che i barmen raccolgono le confidenze dei clienti?
«Certamente (ride). Ho la barba molto lunga e mi piace dire che se ogni pelo potesse parlare, avrebbe molte cose da dire. Ho sempre fatto questo mestiere e ne ho viste di tutti i colori. Sono cose private e non mi piace entrare nel merito, ma ho davvero visto di tutto. Spesso episodi divertenti, altre volte scene tragicomiche. E il legame che si instaura con i clienti è assolutamente vero».

C’è dell’affetto, per questo mestiere?
«Sono figlio d’arte, mia mamma aveva un bar ad Andora e io fin da piccolo sono cresciuto in quell’ambiente. Dico sempre che ho imparato a fare gli espressi prima delle espressioni. Prima di andare a scuola andavo al bar con lei e facevamo i caffè per i primi clienti della mattina. Il mio era un destino segnato, in pratica».

Tra i le “ventuno” del  suo libro, quale bevanda preferisce?
«L’Americano. Sia come cocktail che come racconto. Ho fatto poca strada per ispirarmi nella scrittura del protagonista: è un ragazzo che ama la boxe e si trasferisce negli Stati Uniti. Bisogna fare un piccolo sforzo: il mio cocktail preferito è l’americano e io stesso amo il pugilato»

Davide Izetta

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