Giulia De Cunsolo: "Sei mesi in Uruguay per scoprire me stessa e il mondo"
La ragazza racconta la sua esperienza in Sud America: "Il miglior modo per conoscere come funzionano le cose è viaggiare"
«Il miglior modo per conoscere se stessi e come funzionano le cose nel mondo è viaggiare». Parola di Giulia De Cunsolo, 17 anni, studentessa del Liceo delle Scienze Umane, taggese, che è appena tornata da un periodo di studio in Uruguay di sei mesi. Fino a dicembre ha seguito delle lezioni a scuola, come qualsiasi studente, per tutto il mese di gennaio si è dedicata alla scoperta del paese del Sud America (e si è concessa anche un viaggio in Argentina). Dai bagni nel fiume che credeva fosse l’oceano da quanto era sterminato, alle amicizie strette, dal cibo alle tradizioni: l’abbiamo raggiunta al telefono per farci raccontare come è andata la sua avventura e che cosa le ha lasciato dentro.
L'intervista a Giulia De Cunsolo sulla sua avventura in Uruguay
Partiamo dal principio: com’è che sei finita in Uruguay?
«Ho vinto una borsa di studio messa a disposizione dall’associazione Intercultura (il bando lo scorso febbraio, ndr) e ho compilato una lista di dieci paesi che avrei potuto raggiungere. Sud America, Nord Europa e Asia, perché il mio desiderio era di vedere il mondo e andare il più lontano possibile. E ne ho approfittato anche per imparare un po’ di spagnolo, che mi piace. Anche perché la finalità non era tanto lo studio fine a se stesso, quanto piuttosto assorbire la cultura di un paese lontano».
Eri da sola? O con te c’erano altri ragazzi?
«Un gruppo di italiani è partito insieme a me da Milano, ad agosto. Poi, a Madrid, siamo stati raggiunti da altri ragazzi dal Belpaese e da tutta Europa. Nella mia zona, in Uruguay, mi sono ritrovata insieme a una ragazza finlandese, una danese e un’altra ragazza italiana. Abbiamo legato molto, perché avere una persona nella tua stessa situazione, in un paese sconosciuto, lontano da casa, con una lingua che non si conosce, è molto d’aiuto».
Hai legato con qualcuno in particolare?
«Ci sentiamo ancora con la ragazza danese. Ci siamo promesse di andare reciprocamente a trovarci, ciascuna nel paese dell’altra. È nato un legame molto profondo».
Una volta arrivata, stavi in un collegio? Ospite di una famiglia? In che città hai vissuto?
«Ero ospite di una famiglia che non ho potuto scegliere. Loro hanno scelto me, perché selezionano gli ospiti da una rosa di curriculum con tutte le informazioni del caso. Sono stata molto fortunata da questo punto di vista. Abitavo con una mamma e due figli, il terzo figlio abita con il padre, la coppia è divorziata. Molto riservati, ma non posso lamentarmi di nulla. Sono stata a Santa Lucia, una cittadina grande più o meno come Arma di Taggia a un’ora dalla capitale Montevideo»,
Come si svolgeva la tua giornata tipo?
«Finché andavo a scuola, mi alzavo molto presto, perché le lezioni iniziano alle 7:45. Terminano oltre le 13, ma c’è un breve intervallo tra un’ora e l’altra. Le lezioni finiscono a dicembre, a gennaio ero più libera e sono andata in Argentina. terminate le lezioni, che si svolgono come in Italia, con il professore che cambia classe di conseguenza, tornavo a casa e preparavo il pranzo per i miei fratelli. Il pomeriggio studiavo, facevo sport o accompagnavo la “mamma adottiva” a fare delle commissioni. Oppure semplicemente uscivo con i miei amici».
Ecco, che cosa fanno i ragazzi in Uruguay?
«A prescindere dall’età, l’attività tipo è uscire per bere la “yerba mate”. Lo si fa in compagnia degli amici, dei familiari, o anche da soli. E praticamente ovunque».
Che cosa è?
«È una bevanda tipica dell’Uruguay (e dell’Argentina). È un infuso di erbe che si beve con acqua bollente, ma attenzione a chiamarlo tè, si offendono! È una bevanda antichissima, precolombiana e loro ci tengono molto».
E la movida?
«Si esce praticamente sempre la sera, anche solo a fare un giro in macchina. E poi ci sono le discoteche, come in Italia, ma loro hanno un rapporto speciale con questi locali. In Uruguay si entra in discoteca alle tre del mattino e si esce alle dieci. La vigilia di Natale funziona così: cena con la famiglia, a mezzanotte si aprono i regali e poi tutti a ballare indipendentemente dall’età».
E come ti sei trovata con gli autoctoni?
«Sono timidi e calorosi allo stesso tempo. Ti accolgono a braccia aperte: il primo giorno di scuola hanno messo insieme i soldi per comprarmi la merenda e mi hanno fatto fare il tour dell’Istituto. Però, sono anche molto “timidini”. Per includerti al 100%, diciamo che spesso sei tu a dover fare il primo passo. A chiedere di uscire o a attaccare il discorso. Si vede proprio, però, che hanno piacere a parlarti e a conoscerti».
Parliamo di cultura. Che cosa hai scoperto?
«Ci sono delle differenze con noi, ma neanche così tanto mastodontiche. Poi, in Uruguay, ci sono tanti discendenti di immigrati italiani, quindi si sente molto l’italianità. E mi hanno tempestata di domande: tutti quelli che hanno origini italiane volevano sapere come è l’Italia. E c’è un profondo melting pot, derivato dalla tratta degli schiavi. Una multiculturalità che loro “sentono” tantissimo. E poi c’è musica ovunque. Sempre e delle più disparate influenze. È possibile ascoltare delle composizioni tipiche del Sud America “contaminate” con i tamburi africani».
E paesaggisticamente, com’è l’Uruguay?
«A parte le città grandi, è una nazione molto rurale. Non è raro incontrare capre, cavalli o mucche mentre cammini per la strada. Ed è molto verde. ogni città ha un parco, anche piuttosto grande, nel quale spesso scorre anche un fiume. Molto pittoresco. E poi c’è il mare, che è oceano. L’acqua è molto fredda e ci sono le correnti forti, in Uruguay si fa tanto surf. Hanno pochi stabilimenti balneari, cercano, spesso, di lasciare spazio alla natura. Il bagno, l’ho fatto nel fiume, il Rio de la Plata (che segna il confine con l’Argentina). Era così grande che credevo di essere al mare. Mi hanno detto che in realtà, eravamo a un fiume. L’acqua era un po’ verdina, ma è stato “fattibile”».
Cosa si mangia?
«Mi aspettavo una cucina tipica che in realtà non ho trovato, perché anche su questo fronte, sono estremamente multiculturali. Non mancano mai uova, patatine fritte e carne, ma fanno anche, per esempio la pasta. E mangiano frutta e verdura. Il piatto tipicissimo è sia un taglio di carne che, per estensione, la grigliata stessa. Di solito si consuma con il pranzo della domenica, insieme alla famiglia, ma si può fare anche insieme agli amici».
Pensando al futuro, cosa ti piacerebbe fare?
«Dopo il liceo vorrei continuare con gli studi. Sono indecisa se in Scienze Politiche (indirizzo Internazionale) o Lettere e Filosofia».
Insomma, scoprire cose e culture comunque. Cosa ti attrae di viaggi e scoperte?
«Sono convinta che a prescindere dai libri che uno possa leggere, il mondo va scoperto di persona. Viaggiare e conoscere aiuta a capire come funziona il mondo e come funzioniamo noi stessi. Con la mia avventura in Uruguay, ho imparato cose di me che non immaginavo neanche».
Lo rifaresti?
«Assolutamente sì. nello stesso posto e con la stessa famiglia».
Altri viaggi?
«Se dovessi scegliere Scienze Politiche come facoltà, mi piacerebbe farlo in Francia. E ho già preso eventuali contatti con l’Erasmus, dopo una giornata di orientamento a scuola».
Davide Izetta
Gli scatti dell'avventura
Le foto che Giulia De Cunsolo ha selezionato per la redazione. Da Montevideo ai capibara, passando per le rimpatriate con gli amici e gli corsi dell'Uruguay