A margine della presentazione del suo libro autobiografico “Il coraggio di provarci”, nel quale mette a nudo esperienze, passioni e sfide che l’hanno portata ai vertici di alcuni dei più importanti gruppi imprenditoriali italiani e non solo, da Kiko Milano a Illy Caffè, passando per l’Oreal e Procter&Gamble, la manager sanremese Cristina Scocchia ci ha concesso questa lunga intervista esclusiva nella quale racconta se stessa, il suo percorso di vita, personale e famigliare, tra affetti e successi.
Nata nella frazione sanremese di Coldirodi 52 anni fa, dopo essere stata presidente e Ceo di L’Orèal Italia, e a seguire ad di Kiko Milano, ricopre lo stesso incarico in IllyCafè (saranno 4 anni a gennaio), oltre ad essere membro dei Cda di Fincantieri, Luxottica e Fondazione Altagamma. Una laurea alla Bocconi e una carriera iniziata giovanissima negli States, prima di fare ritorno in Italia, dov’è iniziata la sua brillante parabola da manager in costante ascesa. Attualmente, nella speciale clssifica Top Manager Reputation è accreditata del 14° posto, ma fino a poche settimane fa aveva raggiunto l’11esima posizione.
L’abbiamo intervistata in occasione dell’ultima presentazione – a Bordighera – del suo libro autobiografico “Il coraggio di provarci”.
Dottoressa Scocchia cosa l’ha spinta a scrivere questo libro e che messaggio vuole dare?
“Non avrei mai immaginato di scrivere un libro ma quando poi mi è stato proposto, ci ho riflettuto e ho pensato che forse, nel mio piccolo, la mia storia potesse essere uno spunto per altre persone.
Il messaggio che mi piacerebbe trasmettere è semplice: vale sempre la pena di provare a realizzare i propri sogni con passione, determinazione, coraggio e qualche sacrificio, perché è necessario anche quello.
Spesso il punto di partenza influenza molto le possibilità che abbiamo di raggiungere i nostri obiettivi. Io sono partita da un piccolo paese della Liguria e da una famiglia normale. Il mio percorso è stato controvento, ma proprio per questo ho imparato che il punto di partenza non dovrebbe più determinare chi puoi diventare.
Con questo libro vorrei incoraggiare, chi pensa che certe strade siano precluse, a trovare la forza di provarci”.
Cosa ha significato essere partita da Coldirodi, piccola frazione del comune di Sanremo? Sarebbe cambiato qualcosa se lei fosse nata a Milano o Roma?
“Sono nata in un paesino vicino Sanremo da due genitori insegnanti, un contesto semplice dove c’è sempre stato il giusto e mai il superfluo. Non avevo scorciatoie, ma valori chiari e solidi. Ed è proprio questo che mi ha dato forza.
Molto spesso guardiamo cosa non va, pensiamo che servano grandi città e grandi opportunità per crescere. Invece la vera sfida è trasformare la partenza, che non può essere cambiata, in uno stimolo per migliorarsi.
Forse, se fossi nata in una grande città, qualche porta si sarebbe aperta prima. Ma non credo che avrei sviluppato la stessa tenacia. La mia storia è la dimostrazione che si può arrivare ai vertici anche partendo “svantaggiati”, se ci si mette impegno, disciplina e determinazione”.
Due genitori insegnanti cos’hanno insegnato a lei?
“Mi hanno trasmesso il valore dello studio, dell’impegno e della cultura. Mio padre mi diceva spesso: “Non siamo ricchi di soldi, ma di amore e di cultura”. È una frase che porto con me da sempre. Da ragazza ero molto arrabbiata per essere nata in un paesino di provincia, a Coldirodi. Ma proprio grazie a mio padre ho capito che lamentarsi sarebbe servito a poco: bisognava rimboccarsi le maniche, studiare tanto e provare a dare il meglio di me”.
Che bambina era e cosa sognava di diventare da grande?
“Ero una bambina curiosa, con tanta voglia di imparare e di capire come funziona il mondo. Fin da piccola avevo le idee chiare: volevo diventare amministratore delegato. Al primo colloquio in Procter&Gamble lo dissi senza esitazioni, e il selezionatore mi guardò perplesso: “Mai qualcuno ha ammesso così candidamente di voler diventare il mio capo”.
Lei è una delle manager più influenti in Italia e non solo. Come si arriva a ricoprire un ruolo così importante?
“Ho imparato che nella vita bisogna impegnarsi, punto. La fortuna può aiutare, ma senza impegno e disciplina non si va da nessuna parte. Nel mio caso la svolta è arrivata con uno stage in Procter & Gamble: ero giovanissima, neanche laureata, eppure ebbi l’opportunità di iniziare un percorso che mi ha accompagnata fino alla laurea e oltre. È stato il mio “sogno americano”.
Da lì è iniziato un percorso lungo: sedici anni in Procter tra Europa, Medio Oriente e Africa, poi L’Oréal Italia con un mandato preciso di rilancio, poi Kiko, dove abbiamo completato il turnaround in due anni. Infine, dal 2022, illycaffè”.
Lei è mamma di un ragazzino di 16 anni. Come riesce a conciliare i due ruoli?
“La maternità è la cosa più bella che mi sia capitata nella vita. Da quando c’è Riccardo, ho imparato a fare il giocoliere. L’artista di strada non lancia in aria le sue palline tutte insieme, non pretende che siano tutte in alto sopra la sua testa: quando una sale l’altra scende, e viceversa, ed è lui a imprimere la spinta e a dettare i tempi. Questa metafora rappresenta bene che cos’è per me l’equilibrio tra vita personale e professionale. Bilanciare i due aspetti non è qualcosa che semplicemente accade, è il risultato di scelte consapevoli che si fanno giorno dopo giorno. Il mio lavoro e la mia carriera sono sempre stati importanti per me, ma non sono mai venuti al primo posto: so che la mia felicità dipende più dalla sfera personale che da quella professionale”.
Nel mondo politico di Sanremo sta circolando il suo nome come possibile candidata sindaco alle prossime elezioni comunale. Ne era al corrente? La notizia la gratifica? Qual è il suo rapporto con la politica?
“Non ne ero a conoscenza, certamente mi fa piacere sapere che qualcuno pensi a me per un ruolo così importante per la città che mi ha dato i natali. Tuttavia, la politica non è il mio mestiere. Oggi sono concentrata interamente sul mio lavoro di manager e sugli impegni aziendali che ho assunto”.
Nel corso di questi ultimi 20 anni lei ha avuto modo di relazionarsi con manager e imprenditori di altissimo livello. Chi è stato colui o colei che l’ha colpita maggiormente e perché?
“Nel mio percorso ho incontrato molte persone straordinarie, ma quelle che mi colpiscono di più non sono necessariamente le più famose. Amo gli “unsung heroes”: medici, insegnanti, manager silenziosi che ogni giorno, lontano dai riflettori, costruiscono valore con serietà e dedizione.
In generale, mi ispirano quelle figure che riescono a guidare mettendo al centro la responsabilità e il successo collettivo. Non è solo una questione di talento individuale: i leader che lasciano un segno sono quelli che sanno ispirare e costruire insieme, integrando il valore economico con i valori etici, sociali e ambientali”.
Ha un suo modello tra i manager? Uno a cui vorrebbe assomigliare dal punto di vista professionale e umano?
“Non credo esista un modello unico da seguire. Nel corso della mia carriera ho incontrato tante persone da cui ho imparato qualcosa, e credo che la leadership migliore nasca proprio dal saper prendere spunto da esperienze diverse per costruire il proprio stile.
Mi ispirano i leader che sanno unire visione e concretezza, che non hanno paura di mettersi in gioco, che guidano con empatia e responsabilità e non con l’ego. Quelli che sanno alternare momenti di ascolto profondo a decisioni ferme nei momenti difficili.
Penso che la leadership dipenda dal carattere, dalla personalità e dalle esperienze, non dal genere o da etichette”.
Nel suo libro racconta dell’incontro con Del Vecchio, fondatore di Luxottica, di cui lei è membro del Cda. Ci racconta il vostro incontro?
“L’incontro con Leonardo Del Vecchio è stato per me molto significativo. Parliamo di un imprenditore visionario, che ha costruito un colosso partendo praticamente da zero, ma che nonostante il successo ha mantenuto un approccio estremamente concreto e umano.
Quello che mi ha colpito di più è stata la sua capacità di ascolto. Non era uno di quei leader che parlano soltanto: ti faceva domande vere, cercava punti di vista diversi, voleva capire davvero. Era curioso, e sapeva valorizzare chi aveva intorno.
Per me è stato un esempio di come si possa esercitare la leadership combinando visione strategica e umiltà. Anche nei contesti più strutturati e complessi, mi ha ricordato che la leadership resta soprattutto una questione di responsabilità verso le persone”.
Simona Maccaferri