Parla il discografico imperiese

Stefano Senardi: «Il Festival deve durare più di una settimana»

"Servirebbe anche una scuola permanente per i ragazzi che vogliono intraprendere una carriera musicale"

Stefano Senardi: «Il Festival deve durare più di una settimana»

Sanremo e Rai hanno trovato l’accordo. Al netto dei passaggi propedeutici per la firma della nuova convenzione che definirà i nuovi Festival di Sanremo – tra cui il vaglio del Cda di Viale Mazzini, timbrato il 18 settembre  – è certo che la kermesse resterà nella Città dei Fiori. Almeno per tre anni (più, eventualmente, due), la cittadina continuerà a respirare l’atmosfera del contest musicale. Ne abbiamo parlato con l’autorità imperiese nel campo, il discografico Stefano Senardi.

 

L’intervista a Stefano Senardi

Senardi, come giudica il recente accordo tra RAI e Comune di Sanremo che garantirà la permanenza del Festival nella città dei fiori fino al 2029?
«Lo trovo una cosa fantastica per tanti motivi. Prima di tutto per una questione del territorio, poi perchè è una cosa che non si poteva assolutamente perdere perché il Festival di Sanremo dà benessere a tante persone, coinvolge interamente la città con benefici per commercianti, albergatori, affittuari. Inoltre crea tantissimi posti di lavoro ed una crescita culturale. Eventi mediatici così importanti aiutano a riflettere e a pensare. Io mi auguro che la città e le istituzioni rispondano in maniera positiva».
Come uomo di musica, ma anche come conoscitore della storia del Festival, crede che Sanremo sia ancora il “luogo naturale” per questo evento?
«Assolutamente! Festival e città di Sanremo per il territorio sono due marchi indissolubili e non sarebbe possibile raggiungere i risultati da un’altra parte. Ci hanno provato, ma non c’è posto da Nord a Sud in Italia che possa sostituirsi a questa magia»

Si è parlato di un contributo alle case discografiche per coprire parte dei costi elevati della partecipazione al Festival, come valuterebbe questa mossa?
«Sarebbe mossa positiva. Più si va incontro alle esigenze della discografia che porta sul palco dell’Ariston gli artisti e più ne guadagna lo stesso Festival in immagine. Perché tutti sanno che il Festival di Sanremo è un gigante di indotto per le pubblicità e garantisce un’enorme potenzialità ed una visibilità mondiale. Penso sia un dovere del Comune e della Rai andare incontro a chi investe nelle canzoni e negli artisti. Intorno a così tanti soldi credo che la discografia non debba rimetterci qualcosa»

Ritiene che i costi oggi sostenuti dagli artisti e dalle etichette per partecipare a Sanremo siano davvero così insostenibili?
«Da esperto garantisco che i costi sono molto alti. Non tanto per le registrazioni ma per i viaggi, gli alberghi, i ristoranti, lo staff al seguito. Poi oggi gli artisti e le case discografiche utilizzano un nuovo modo di fare promozione affittando spazi extra per fare attività sulla città».

Però c’è chi non è d’accordo su questa clausola che costringerebbe il Comune a tirare fuori i soldi per rimpinguare le case discografiche…
«In tutta questa discussione bisogna guardare oltre. Va preso in considerazione che per mandare a Sanremo i pezzi forti servono incentivi economici. Infatti in un anno di restrizioni le case discografiche si ribellarono e ne uscì un Festival sotto tono. Però secondo me oggi serve aprire un tavolo di confronto tra chi porta le canzoni e chi gestisce l’intera macchina festivaliera. Occorre vedersi prima della settimana canonica di febbraio, tipo organizzare convegni, riflessioni, seminari, incontri culturali. Sanremo è la città della musica quindi perché non fare una scuola permanente per i ragazzi che vogliono fare i cantanti, sarebbe il luogo ideale venire a studiare per fare questo mestiere e dar loro un’infarinatura più professionale. Così ci sarebbero ulteriori risorse e vantaggi per tutti e nessuno scontento».

Cosa avrebbe significato per il Ponente ligure la perdita del Festival?
«Un disastro come indotto economico per tutti. E una perdita di immagine e promozione anche turistica da tracollo».

Come si immagina il Festival dei prossimi anni?
«Bisogna allungare la partecipazione dei lavoratori della musica ed estenderla oltre la settimana canonica di febbraio. Come ho più volte sostenuto servirebbe una scuola che prepara i giovani allo spettacolo televisivo all’Ariston. La città è attrezzata per fare convegni durante tutto l’anno coinvolgendo la Siae e i discografici. Mi immagino che il Festival di Sanremo si possa spalmare con una serie di attività, aumentando la musica non solo per i cinque giorni della gara canora. Magari potenziare Area Sanremo facendola diventare una scuola vera e propria. Insomma immagino un Festival che riesca a trovare nuovi equilibri. Ed io di Festival di Sanremo ne ho fatti più di quaranta quindi diciamo che un po’ di esperienza posso vantarla».

Stefano Senardi è un umo di musica a tutto tondo e un grande della discografia italiana: classe 1956, è stato direttore generale CGD East West (gruppo Warner Music) e ha fondato la sua etichetta indipendente Nun Records. Ha collaborato con decine di case discografiche, radio, programmi televisivi, rassegne, testate, organizzazioni (tra cui la Sinfonica di Sanremo che ha presieduto nel 2015) e spettacoli in tutta Italia. Nel 2004 è stato il direttore artistico del Live Aid di Bob Geldoff a Roma.

 

L’accordo con la Rai e il ricorso JE

Ora i prossimi passi. Il testo della nuova convenzione approvato dalla Rai dovrà tornare a Sanremo ed essere validato dall’esecutivo del sindaco Mager. Al che, si procederà con la determina dirigenziale. I termini prevedono quanto messo nero su bianco da Palazzo Bellevue (6,5 milioni di euro, più l’1% degli introiti pubblicitari, Area Sanremo, collaborazione agli eventi della Città dei Fiori e altro), i diritti del format alla Rai e quelli del brand a Palazzo Bellevue e la creazione di un osservatorio permanente che valuterà l’osservanza dell’accordo e fornirà nuove proposte. Sul piatto anche la possibilità di abbandonare la storica location, il Teatro Ariston – più volte oggetto di critiche da parte degli addetti ai lavori della discografia – , in favore di un altro palcoscenico, sempre nella Città dei Fiori.

Tutto finito? Ebbene, no. C’è ancora un passaggio: il 17 ottobre, di fronte al Tar, si discuterà nel merito relativamente al ricorso contro la delibera di giunta che ha definito i criteri della manifestazione di interesse, impugnata dalla stessa Just Entertainment, la società all’origine di tutta la vicenda. Era stata l’azienda di Sergio Cerruti a rivolgersi alla giustizia amministrativa contestando l’affidamento diretto del Festival a Viale Mazzini. Il ricorso, accolto, aveva portato alla storica sentenza del 2024 con cui il Tar obbligava Sanremo alla procedura pubblica. Sentenza poi confermata a maggio del 2025 dal Consiglio di Stato. 

 

Pierantonio Ghiglione