Raffica di misure cautelari. Una in Riviera

Arriva anche a Sanremo la maxi inchiesta per spaccio nel carcere di Biella

Droga, tablet, smartphones: nel carcere piemontese arrivava di tutto, con la sospetta connivenza di alcune guardie carcerarie

Arriva anche a Sanremo la maxi inchiesta per spaccio nel carcere di Biella
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Una rete tra il carcere di Biella e l'esterno per introdurre nell'istituto penitenziario droga e oggetti non ammessi, come telefoni cellulari di ultima generazione: la maxi inchiesta della procura del capoluogo di provincia piemontese arriva anche a Sanremo, con un detenuto recluso nella Casa Circondariale di Valle Armea (prima dietro le sbarre nel carcere sotto inchiesta), raggiunto da una misura cautelare.

 

Arriva a Sanremo la maxi inchiesta per spaccio nel carcere di Biella

Si tratta di Giovanni Capozza, nato nel 1969 in provincia di Bari, tra gli indagati raggiunti dalla raffica di misure cautelari  spiccate dal giudice, tre cui 33 misure di custodia in carcere ( tra cui una guardia carceraria) , 15 agli arresti domiciliari (3 guardie e 12 familiari di detenuti) e 5 obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria. Sospese dal servizio altri 3 agenti.

L'inchiesta- condotta dalla Squadra Mobile di Biella- ha permesso di svelare una vera e propria rete di traffico di stupefacenti e oggetti proibiti tra le mura del carcere, introdotti con le visite ai familiari, con la compiacenza di alcuni agenti della Polizia Penitenziaria, definiti "cavalli blu", il lancio di pacchi oltre il muro di cinta e la spedizione di pacchi con mittente e destinatario fittizi. In un'occasione, l'inchiesta ha svelato l'introduzione nella struttura di 400 pastiglie di subutex occultate in una noce Pecan. Lo smercio di droga e apparecchiature high tech rivendute a prezzi esorbitanti (1000-1500 euro uno smartphone, 200-500 euro un microtelefonino) aveva come cardine centrale un detenuto e diverse "piazze" parallele avviate da altri carcerati in autonomia. Sono oltre 90 gli indagati, a vario titolo, per i reati di introduzione e cessione di sostanze stupefacenti; introduzione di telefoni cellulari, sim card  e relativi apparati; corruzione per un atto contrario ai propri doveri; istigazione alla corruzione; ricettazione, estorsione; falso in atto pubblico e arresto illegale (fuori dalla misura).

 

I "cavalli blu"

Il ruolo di alcune guardie carcerarie conniventi e- secondo alcuni testimoni- addirittura concorrenti nelle operazioni di smercio illegale- fondamentale per le particolari modalità di immissione, come la spedizione dei pacchi, gli incontri con i familiari o i "lanci" oltre le recinzioni. Ricevevano dai 600 ai 1500 euro a pacco, a seconda del valore del contenuto,  In alcuni casi, i quantitativi di droga introdotti superavano il chilo. Il punto di svolta dell'inchiesta è stata una maxi perquisizione all'interno della struttura carceraria condotta dalla Squadra Mobile di Biella con l'Ausilio delle mobili del Piemonte e della Valle d'Aosta, che aveva permesso di recuperare tre schede sim. Un risultato modesto, ma, secondo l'impianto accusatorio del pm Teresa Angela Camelio, spiegabile con il fatto che i detenuti fossero stati avvertiti giorni prima dell'operazione dalle stesse guardie carcerarie coinvolte. I reali motivi dell'esiguo numero di materiale incriminante scovato dagli agenti, sarà scoperto un anno dopo con l'attività investigativa condotta dagli agenti della Polizia di Stato.

 

"Il paese dei Balocchi"

Negli atti dell'inchiesta (ancora in corso) si apprende che il carcere di Biella era conosciuto come "Il Paese dei Balocchi", "Biscotto" (perché dolce); "Il posto dove puoi trovare tutto". Tra i detenuti si era sparso anche il detto "Se la droga non la trovi fuori, la troverai dentro al carcere di Biella". Nelle celle si potevano trovare tablet e smartphones di ultima generazione, spesso ancora poco comuni persino fuori dalle mura dell'Istituto. Circa il 90% dei detenuti rinchiusi nel carere di Biella risulta tossicodipendente, con diversi episodi di crisi di astinenza e autolesionismo e addirittura alcuni casi di overdose che hanno insospettito gli inquirenti. Non c'è traccia del consumo eccessivo di droga nella storia personale di numerosi detenuti, se non dopo l'ingresso nella struttura. Insomma, in tanti non erano tossicodipendenti prima di varcare la soglia del carcere lo sono diventati.

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