Dai criptofonini per ordinare la cocaina, alle maniere forti con chi non pagava
Concordavano gli approvvigionamenti della cocaina nella piana di Gioia Tauro, in Calabria tramite “criptofonino” i vertici dell’associazione
Ecco come agiva l'organizzazione criminosa tra la Calabria e l'Imperiese
Concordavano gli approvvigionamenti della cocaina nella piana di Gioia Tauro, in Calabria tramite “criptofonino” i vertici dell’associazione per delinquere sgominata ieri dalla Guardia di Finanza e la cui operazione si è conclusa con l’esecuzione e di ventisei misure cautelari (ventitré in carcere e tre ai domiciliari) emesse dal gip di Genova, su richiesta della Procura della Repubblica - Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo, cui è stato applicato anche un pm della Procura di Imperia.
A capo del sodalizio c’era Domenico Gioffrè, 30 anni, nato a Palmi (Reggio Calabria)
e residente a Diano Castello, in provincia di Imperia. La stessa organizzazione, secondo quanto si apprende dagli atti, organizzava trasferte in Calabria prima e a Roma poi “Per la cessione della cocaina o per la sola consegna del denaro (corrispettivo dello stupefacente, che veniva poi spedito), si accordano, in alternativa per ricevere lo stupefacente direttamente tramite la Linea Bus Lirosi (il fornitore carica colli diretti all'associazione, che vengono prelevati a Imperia da altri associati sodali)". Il contatto calabrese è Giuseppe Scarcella, che comunica con i vertici dell'associazione solo tramite criptofonini “spesso da lui forniti”.
E così, una volta trovata la merce
“I capi raccolgono il denaro e finanziano l'acquisto, organizzano la trasferta, indicano il luogo e l'orario di appuntamento per la consegna e ivi inviano i corrieri designati, avvalendosi delle loro vetture, o noleggiandole appositamente. Poi, ricevuta la cocaina in pietra (nell'ordine di circa un chilo per volta per il prezzo medio di circa 35.000 euro) provvedono al taglio e alla adulterazione della stessa con l'uso della mannite, verificano la qualità della merce avvalendosi di sodali assaggiatori e poi provvedono alla vendita all'ingrosso con la formula a credito ai loro sodali-clienti-venditori per quantitativi medi di ettogrammi, i quali successivamente provvedono allo spaccio al dettaglio pagando all'associazione solo il prezzo per l'acquisto della merce e trattenendo per sé i guadagni derivanti dalle vendite”.
La violenza esercitata nei confronti dei debitori morosi
aveva il fine “di ristabilire le gerarchie e il rispetto dovuto al sodalizio”. Alcune delle minacce, si legge nelle carte, sono state effettuato “prospettando l'uso di armi da fuoco”. Nella base di Diano Castello, gli inquirenti hanno trovato una pistola nascosta ("il giocattolo", nelle conversazioni, ndr) nella campagna vicino all'abitazione di via Codeville.
Ma non è tutto: “alcune conversazioni intercettate avevano ad oggetto la contrattazione per l'acquisto di armi da guerra del tipo Kalashnikov”. Armi che, come viene esplicitato in alcune conversazioni registrate, Gioffrè pensava di acquistare in Albania: si parla di “20/30 fucili successivamente da rivendere a circa 1.000 euro al pezzo”.
Diverse le occasioni in cui sarebbe stata usata violenza
In un caso, documentato tramite intercettazioni, Gioffrè commissionava a Nieto Fiss “un atto intimidatorio ai danni del cliente G. G., colpevole di non aver onorato il debito per l'acquisto di una partita di cocaina il giorno 04.11.2021, acquisto per il quale, nella medesima data, lo stesso era stato tratto in arresto in Ventimiglia”.
Visto che il cliente non aveva saldato nemmeno in parte il debito contratto
“Gioffrè ordinava a Nieto Fiss di procedere al violento pestaggio nonostante la presenza di un bambino piccolo in casa, precisando che gli avrebbe dovuto lasciare un biglietto da lui manoscritto con il quale rammentargli il debito non onorato: "Domenico ti manda i saluti e tu non glieli hai mandati". In quell'occasione, evidenziano gli investigatori “Nieto Fiss non mostrava nessuna titubanza, anzi, suggeriva al capo di massacrarlo di botte senza ucciderlo, per assicurargli il pagamento del denaro, che non avrebbe ottenuto se fosse stato ucciso”. In un altro caso, Nieto Fiss si era reso disponibile anche ad utilizzare un'arma da fuoco. Ma Gioffrè lo aveva bloccato, consigliandogli “di utilizzare le maniere forti solo in caso di reazione”.
Fabrizio Tenerelli