L'intervista

Diritto umanitario: «Abbiamo convenzioni per tutto, non tutti le rispettano»

Parla il generale Giorgio Battisti dell'Istituto Internazionale di Villa Ormond

Diritto umanitario: «Abbiamo convenzioni per tutto, non tutti le rispettano»

«Le convenzioni ci sono. Non tutti gli Stati le attuano allo stesso modo». Lo ha detto a La Riviera  il generale Giorgio Battisti, presidente dell’Istituto Internazionale di Diritto Umanitario di Villa Ormond, la realtà sanremese che da mezzo secolo contribuisce alla formazione nel campo specifico di giovani ufficiali delle forze armate di mezzo mondo.

 

Diritto umanitario: «Abbiamo convenzioni per tutto, non tutti le rispettano». L’intervista al presidente IIHL

L’istituto, nei giorni scorsi, ha concluso la 48ª Tavola Rotonda IIHL che ogni anno riunisce a Sanremo decine di militari, giuristi e addetti ai lavori, da ogni angolo del mondo, per confrontarsi sul diritto umanitario internazionale. Quest’anno il tema era: “Pace e guerra: la centralità del Diritto Internazionale Umanitario”. 

 

Ecco l’intervista al generale, in un contesto che vede due conflitti aperti alle porte dell’Occidente, la guerra in Ucraina e quella nella Striscia di Gaza, insieme a un altro centinaio di conflitti – secondo il Comitato Internazionale della Croce Rossa di Ginevra – attualmente attivi sul globo. Guerre che spesso coinvolgono direttamente la popolazione civile e si combattono in ambienti fortemente urbanizzati.

 

Quali sono le finalità delle Tavole Rotonde all’IIHL (International Institute of Humanitarian Law, ndr)?
«La nostra speranza è che qualcuno rimanga colpito da tutti questi atroci aspetti che ogni guerra porta nelle nostre vite, soprattutto quelle che si svolgono nei centri abitati, perché oltre agli avversari, ammesso che siano in uniforme e non sempre è così, si combatte in mezzo ai civili. Che è la cosa peggiore, perché si creano quelli che ipocritamente vengono chiamati “danni collaterali”. Oggi, quasi tutti i conflitti avvengono all’interno di aree abitate, o per conquistarle, o per difenderle. Ma se guardiamo dalla guerra civile ad Haiti, i Narcos, in Ucraina. Se guardiamo i bollettini si parla sempre di “abbiamo occupato un villaggio, abbiamo liberato un villaggio”. Quelle guerre che si vedono nei film, in campo aperto, non ci sono più. Anche nell’estremo oriente. Noi speriamo di umanizzare queste guerre che sono disumane, la guerra è la cosa peggiore che ha inventato l’essere umano».

In quest’epoca di conflitti, i governi occidentali come si comportano?
«Se bisogna sintetizzare in una frase, direi che stiamo assistendo a un ritorno al passato, anche a Occidente. Basta pensare ai paesi Baltici, alla Polonia e all’Ucraina hanno detto che usciranno dall’accordo sul bando delle mine antiuomo del 1997. Questo è un forte passo indietro. le mine le usano tutti eh, senza dirlo a tutti, come anche uscire dalle bombe a grappolo. In Afghanistan, dove io sono stato tanti anni, ho visto che le mine sono il nemico dormiente per icivili. Uno ara, cammina e ho visto tanti ragazzi senza gambe e braccia. Delle bombe a grappolo, solo il 50% esplode all’impatto con il terreno…Questo passo indietro è preoccupante».

L’evoluzione dei conflitti è evidente, prima parlavamo delle guerre urbane. Ci sono anche, ad esempio, quelle asimmetriche. È necessaria o auspicabile una modifica alle convenzioni attualmente in essere?
«Non vorrei sembrare disilluso. Noi abbiamo convenzioni per ogni cosa. Le quattro convenzioni di Ginevra sono il nostro punto di riferimento. Sono il frutto delle esperienze negative maturate nei conflitti precedenti, quella del 1949 tiene conto dei drammi della Seconda Guerra Mondiale. Per la prima volta si parla di partigiani, si parla dei prigionieri e della popolazione civile, che è stata il 50% delle vittime del conflitto. Dal ‘49 ci sono stati tantissimi accordi: trattati contro l’uso di armi troppo violente, il bando delle mine, il bando delle bombe a grappolo. Non tutti i paesi aderiscono ai trattati. Se prendiamo per esempio il bando alle mine antiuomo, ci sono paesi di primo livello sia per spessore politico che potenza militare che non hanno aderito, Stati Uniti, Cina, Russia e altri che prioritizzano la sicurezza delle proprie forze armate sul campo. È chiaro che non c’è una forza sovranazionale che possa intervenire nei confronti di chi non rispetta nei fatti gli accordi internazionali. Come è accaduto con  Assad che era nell’ambito del trattato contro le armi chimiche e poi ne aveva i magazzini ancora pieni. Non c’è una forza di polizia che arresta quel capo di governo. In genere, nei paesi democratici questi accordi vengono rispettati e se accade qualche errore paga chi ne è responsabile. Non accade da altre parti. Anche la Corte Penale e la Corte di Giustizia Internazionali possono emettere le loro ordinanze, ma poi non succede niente».

Torniamo alla (stretta) attualità: abbiamo assistito alla partenza della Globad Sumud Flotilla, composta da volontari civili, in direzione striscia di Gaza per rompere l’assedio israeliano e portare aiuti umanitari alla popolazione civile. Senza considerazioni politiche, come si inquadrano, giuridicamente, i volontari in viaggio?
«È una bella domanda. La risposta è che non lo sappiamo, perché è la prima volta che accade. Sarà un caso di studio per i giuristi di diritto internazionale. La Flotilla sarà presa in esame anche dalla Croce Rossa per le modifiche alla Convenzione sulle missioni navali. Ne potremmo parlare più approfonditamente una volta che toccheranno terra. Partendo dalle basi, tutte e quattro le Convenzioni di Ginevra identificherebbero i volontari come civili disarmati e come tali andrebbero trattati, ossia preservati dal conflitto in essere. Bisogna specificare però che, come dicevamo prima, le convenzioni non vengono recepite in modo unitario da tutte le nazioni. Faccio un esempio, il diritto alla vita non è garantito allo stesso modo da tutti i paesi del mondo. Cambia per motivi politici, storici, culturali, religiosi e ideologici».

Davide Izetta