Frode fiscale e altri reati: gdf sequestra beni per 2,2 mln a imprenditore Taggia, 34 indagati
Sono 34 gli indagati della province di Imperia, Milano e Monza e Brianza, nell'ambito dell'inchiesta "Mecenate," coordinata dal procuratore di Imperia
Sequestrati beni per 2,2 milioni a imprenditore
Sono 34 gli indagati della province di Imperia, Milano e Monza e Brianza, nell'ambito dell'inchiesta "Mecenate," coordinata dal procuratore di Imperia, Alberto Lari, che ha permesso alla guardia di finanza di individuare una associazione a delinquere dedita allo sfruttamento della manodopera (il cosiddetto caporalato), alla frode fiscale, al reimpiego di capitali illeciti e all’autoriciclaggio, che avrebbe sfruttato migliaia di lavoratori impiegati nei settori della logistica e dei servizi alle imprese.
L'illecito giro d'affari
secondo gli investigatori, ammonterebbe a circa 23,5 milioni di euro, a titolo di retribuzioni e contributi non versati. Le indagini hanno preso le mosse dalla segnalazione di operazioni sospette, riguardanti un imprenditore originario di Arma di Taggia, Roberto Picena, a capo di un gruppo societario specializzato nei servizi di logistica e pulizie, nei confronti del quale sono state sequestrate polizze assicurative per complessivi 2,2 milioni. Dei 34 indagati, inoltre, a 14 viene contestato il reato associativo.
La struttura operativa del gruppo
era composta da numerosi imprenditori, frammentata e articolata su due livelli: uno costituito da cooperative prive di profilo mutualistico, nelle quali erano inquadrati gli oltre 1.300 lavoratori impiegati su tutto il territorio nazionale; un secondo livello costituito dallo “schermo” di società di capitali affidate a fiduciari o prestanome, che appaltavano i servizi richiesti.
Una struttura, questa, che avrebbe consentito a Picena
di generare, nel tempo, illeciti e rilevanti proventi, reimpiegati in epoca recente in attività economiche sulla piazza di Sanremo. Dalle successive indagini, eseguite da un team investigativo formato da finanzieri delle Compagnie di Sanremo e Ventimiglia, è emerso che i lavoratori delle cooperative venivano reclutati concordando la sola retribuzione oraria, inferiore del 30-40 per cento a quella prevista dai contratti collettivi nazionali di settore e impiegati in turni di lavoro prolungati anche oltre l’ordinario, con la violazione della normativa in materia di orario di lavoro e privi di qualsivoglia forma di assenza retribuita.
Nei confronti di Picena, nel giugno scorso, le fiamme gialle avevano già sequestrato polizze assicurative per oltre 900mila euro, ma avendo saputo di un massiccio e contemporaneo tentativo di riscatto di ulteriori polizze, riconducibili alle diverse società a lui intestate, il 18 febbraio scorso i finanzieri hanno eseguito un ulteriore decreto di sequestro preventivo per equivalente 'd’urgenza', per un importo pari a circa 1,3 milioni di euro. Entrambi i sequestri sono già stati convalidati dal gip.
Dalle intercettazioni telefoniche, dalle testimonianze dei lavoratori,
dai documenti sequestrati presso la sede della società capogruppo situata a Concorezzo (MB) e dall’analisi della documentazione digitale recuperata da vari computer grazie all’analisi forense (gli indagati distruggevano mensilmente i fogli-presenze cartacei su cui annotavano le ore svolte dai lavoratori), venivano ricostruite le condizioni di sfruttamento a cui erano sottoposti i lavoratori, in un regime di assoggettamento, messo in atto approfittando dello stato di bisogno e della necessità di un posto di lavoro, spesso unico mezzo di sostentamento per le famiglie dei lavoratori e, per numerosi extracomunitari impiegati, condizione necessaria per godere di un valido permesso di soggiorno in Italia.
L’articolato sistema, messo in pratica da un sodalizio composto a vario titolo da circa trenta persone, tra cui anche un consulente del lavoro di Milano, prevedeva che alla fine di ogni mese i “caporali” comunicassero, al vertice direzionale, le ore di lavoro prestate da ogni lavoratore presso le singole cooperative. Tali dati venivano poi comunicati allo studio del consulente affinché i suoi dipendenti ricostruissero artificiosamente le buste paga su un numero inferiore di ore e aggiungendo voci “accessorie” della retribuzione (indennità di trasferta, permessi non goduti, gratifica natalizia, ferie non godute, ecc.), con il fine unico di abbattere l’imponibile contributivo e fiscale ma consentendo, alle aziende, di risultare apparentemente e formalmente in regola.
A seguito di una parziale “discovery” delle indagini, conseguente all’esecuzione di numerose perquisizioni nel mese di gennaio 2019, i lavoratori in questione scioperarono in massa mettendo in difficoltà i punti vendita, ubicati sul territorio nazionale, del principale committente dei servizi di pulizie e facchinaggio, un gruppo internazionale del fashion business, estraneo alle contestazioni mosse nei confronti del sodalizio investigato.
Nei mesi successivi poteva quindi pervenirsi alla regolarizzazione delle buste paga, in conformità ai contratti collettivi nazionali e nel rispetto delle norme giuslavoristiche, allorché venivano perfezionate specifiche conciliazioni con i singoli lavoratori delle cooperative, con la corresponsione complessiva di circa 15 milioni di euro, di cui una parte a favore dei lavoratori, quali retribuzioni non corrisposte, ed il rimanente all’INPS a titolo di contributo previdenziale ed all’Erario a titolo di oneri fiscali.