PROCESSO IN CORTE D'ASSISE

L'omicidio di Rocchetta, il nipote della vittima: "Un gesto d'amore, anche se condanno il gesto"

Sono stati ascoltati undici testi davanti alla Corte di Assise di Imperia e l'udienza è stata aggiornata al 5 aprile

L'omicidio di Rocchetta, il nipote della vittima: "Un gesto d'amore, anche se condanno il gesto"
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Al processo parla il nipote di Tina Boero, la donna uccisa dal marito a Rocchetta

“Io lo giudico un gesto d’amore, anche se condanno il gesto (…). Dopo di loro c’eravamo noi. Penso che nella sua testa, lui pensasse ‘se muoio prima io rimane la zia sulle spalle loro o il cane da accudire, allora ce ne andiamo tutti e tre, e non diamo fastidio”. A parlare è Massimo Ricotta - nipote di Tina Boero, 80 anni, uccisa dal marito Fulvio Sartori - che stamani ha deposto come teste della difesa al processo per omicidio, in corso davanti alla Corte d’Assise di Imperia, che ha ascoltato gli undici testimoni, con l’udienza che è stata poi aggiornata, al prossimo 5 aprile, per l’esame dell’imputato.

Il racconto di quella mattina, quando il figlio lo chiama annunciando il delitto

“Alle 5,25 mi ha chiamato mio figlio Stefano che era di turno in ambulanza ed era stato chiamato dal 118 ad intervenire. Mi ha detto: ‘Papà, lo zio ha ammazzato la zia’ - racconta Massimo - Mi sono alzato, ho provato a chiamare mio zio. Subito non ha risposto, poi dopo un secondo ha richiamato e mi ha detto: ‘Non ce la facevo più, non ce la facevo più, ho ammazzato la zia’”. Così Ricotta corre a casa della propria madre per prendere le chiavi di casa degli zii e si reca sul luogo del delitto. “Ho spinto la porta, sono arrivato al secondo piano. C’era buio. Ho aperto la porta e siccome conosco bene la casa ho subito schiacciato l’interruttore della luce. Quando si è accesa ho visto l’inferno. Ho visto mia zia, ho capito che non c’era più niente che potessi fare. Così sono rimasto lucido e ho pensato a mio zio che era sotto le coperte. Gli ho chiesto cosa avesse combinato. Mi ha detto: 'Non lo so, non lo so…. Non ce la facevo più’. Ho toccato il cane per vedere se fosse vivo ed ho chiesto a mio zio: ‘Ma hai ammazzato anche il cane?’. 'Sì, sì”, mi ha risposto. Ho visto che aveva un taglio sul collo, era pieno di sangue e allora gli ho chiesto dove si fosse tagliato e lui mi ha indicato il collo e dalle coperte ha tirato fuori il braccio. Non l’ho fatto alzare dal letto. Ho aspettato che arrivassero i carabinieri'. 

Prosegue il racconto del, teste: ’Ho chiesto ai carabinieri se potevo far cambiare mio zio e quando mi hanno detto di sì l’ho accompagnato in bagno, l’ho portato a lavarsi. Era rassegnato. Mi ha detto che era colpa di un coniglio, perché lui la sera prima l’aveva cucinato e la moglie non lo voleva mangiare. Le ho chiesto: ‘Ma la zia dormiva?’. E lui mi ha detto: ‘Dormiva, ma si è resa conto, è stato un attimo’. Mi ha detto che era successo alle 4. Poi si è messo nel letto, si è tagliato ed ha chiamato 112. Mi ha detto: “Io speravo che stamattina ci trovavate tutti e tre qua morti, che non c’eravamo più’”.

All’origine del raptus di follia ci sarebbe anche un litigio per la televisione

ma a quanto pare si trattava soltanto del culmine di una vita coniugale ormai esasperata. “Lei gli avrebbe detto che era stato lui a toccare la televisione. Ma era intervenuto l’elettricista e aveva risolto il problema. Lei era una di quelle donne che di tutto ne faceva un dramma. Stava in poltrona, buttata lì, abbacchiata. Loro vivevano l’uno per l’altra. Lui l’ha sempre assecondata. Non avevano figli, erano un incastro: l’uno aveva bisogno dell’altra. Il cane per loro era in pratica una figlia, ‘amore qua’, 'amore là’. Hanno vissuto più di 50 anni di matrimonio. Io lo giudico un gesto d’amore, anche se condanno il gesto”.

A deporre viene chiamata anche la sorella della vittima, Irene Boero, madre di Massimai Ricotta. “Mia sorella - afferma - aveva un carattere particolare, forse perché ha trovato un uomo molto buono. Lei era come una bambina viziata: la viziava in tutto, se lei voleva una cosa lui andava a Ventimiglia a prendergliela. Ma non si è mai lamentato. Lo faceva con piacere. L’accompagnava dal parrucchiere. Ci diceva: 'Voi non la capite, lei è malata’”. Fulvio e Tina erano sposati da cinquantadue anni e, secondo la sorella della vittima, c’erano sempre stati soltanto battibecchi.

A deporre c’è anche Luca cotta, fratello di Massimo: "Li ho sempre definiti Sandra e Raimondo, si bettegavano sempre, tutto il giorno, mio zio è una persona con una pazienza infinita. Lei era una zia bambina, sempre coccolata e viziata. Non hanno mai avuto discussioni brutte. Non ha mai lavorato, lavorava lui, negli ultimi due anni era cambiata: ogni mattina ne aveva una. Faceva tutto lui. Lei non usciva praticamente mai. Non andava neanche a messa, gli ultimi mesi, per la paura del covid. Lui sì, sempre”. Solo l’ultima domenica, prima dell’omicidio, la donna si è recata in chiesa con il marito e la sorella per la messa in memoria di sua madre. “Quella domenica la zia mi ha chiamato, era contenta. Aveva visto il nipotino di mio fratello, diceva che era bello, un bambolotto. Lo zio non riusciva ad avere una vita sociale, lei lo chiamava sempre al telefono. L’unico suo hobby, fino a qualche anno fa, era la caccia”.

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