Meno migranti, ma più problemi: ecco il report "Ventimiglia ai margini 2024"
Sono tra i 60 e 70 i migranti che vivono sotto il ponte a Ventimiglia, in calo rispetto al passato, anche perché ci sono meno sbarchi

Sono tra i 60 e 70 i migranti che vivono sotto il ponte a Ventimiglia, in calo rispetto al passato, anche perché ci sono meno sbarchi e molti riescono a raggiungere la vicina Francia; ma in compenso aumentano i disagi soprattutto di ordine psichico, legati ai traumi del viaggio, all’abuso di alcol o stupefacenti e alla mancanza di un avvenire.
E’ quanto risulta dal report “Ventimiglia ai margini 2024” (SCARICA)
realizzato dalle associazioni del territorio che prestano assistenza ai migranti - Caritas, We World e diaconia valdese in primis - presentato stamani.
“Nel 2024 il numero delle persone in movimento è calato notevolmente - ha affermato il responsabile della Caritas Intemelia, Maurizio Marmo -. Constatiamo comunque la presenza di persone che si fermano a Ventimiglia e che hanno bisogno di un supporto ulteriore: sia persone che richiedono un asilo e l'inserimento nei Cas di solito richiede tre o quattro mesi, quindi rimangono sulla strada, sia persone che sono in situazioni di difficoltà più grave, perché comunque hanno vissuto dei traumi magari nei Paesi di provenienza, ma anche durante il viaggio”.
Ci sono poi tanti stranieri inseriti nel mercato del lavoro locale
ma che non trovano un'abitazione e quindi sono costretti a restare sulla strada. “Sono persone che magari hanno già esaurito tutta una serie di percorsi migratori in Europa, ma anche in Italia - spiega Costanza Mendola (diaconia valdese) - e qui noi ci siamo messi in rete, abbiamo cercato di dare una risposta che sia la più integrata possibile a partire dalla regolarizzazione sul territorio; quindi un'assistenza socio-legale a un'assistenza lavorativa”.
E aggiunge: “Molti portano vulnerabilità specifiche di carattere psichico, mentale o di abuso di sostanze stupefacenti o alcol. Quindi abbiamo attivato una sorta di referral sanitario per cercare di metterci in rete anche con le forze sanitarie del territorio per far fronte a una situazione che diventa pericolosa per i cittadini, poco serena per chi vive sul territorio, ma per tutelare anche la popolazione emigrante che comunque c'è, esiste”.
Jacopo Colomba (We World)
“Nel 2024 c'è stato un cambio di contesto molto forte, derivante dall'implementazione degli accordi tra Italia e Tunisia, quindi la rotta Tunisia è stata fortemente ridotta, ed è stata invece la rotta principale nel corso del 2023. Gli sbarchi sono, quindi, diminuiti dal 60 per cento e come conseguenza, quasi diretta, abbiamo registrato una forte flessione delle presenze a Ventimiglia e anche dei respingimenti alla frontiera franco-italiana. Un altro fattore che incide sicuramente è questa sentenza del Consiglio di Stato francese del febbraio 2024, che ha reso i respingimenti oggi riammissioni più complesse da parte delle autorità francesi. Al tempo stesso, però, quello che constatiamo è che i problemi sono multidimensionali, perché si tratta ormai di persone con più traumi e bisogni molto difficili da affrontare. Quindi non è più un transito rapido, veloce, come è stato soprattutto nei primi anni di chiusura della frontiera, nei primi tre anni, ma si tratta di persone che hanno già avuto fallimenti migratori, traumi nel viaggio, nei Paesi di transito e anche in Italia e nei Paesi europei, che in alcuni casi li rimandano proprio sul suolo italiano a causa degli accordi di Dublino. Quindi sono persone isolate socialmente e che in molti casi presentano delle vulnerabilità complesse dal punto di vista soprattutto mentale”.
Quali sono le nazionalità più rappresentate in questo momento?
“A livello di nuovi arrivi di persone in puro transito c'è sicuramente una componente del Nordafrica, ma anche le tradizionali nazionalità dell'Eritrea, dell'Etiopia e del Sudan. Sono Paesi ovviamente coinvolti in conflitti, sotto dittatura in molti casi, quindi continuano a giungere in Italia. A livello, invece, della popolazione più stanziale le nazionalità sono molteplici. Si va dall'Africa subsahariana, Paesi come Nigeria e Gambia, fino al Nordafrica e a paesi del Corno d'Africa. In particolar modo c'è una comunità di somali, che sono già stati considerati rifugiati a tutti gli effetti, ma che purtroppo hanno grosse difficoltà in termini di integrazione e che in molti casi sono portatori di dipendenze”.
Fabrizio Tenerelli