"Papà mi hanno sparato alla pancia": l'ultima telefonata col figlio in agonia

Sparato: "Anche se mio figlio avesse avuto un fucile, non è stato lui a sparare. Nulla giustifica la sua morte. Ora, voglio soltanto giustizia".

"Papà mi hanno sparato alla pancia": l'ultima telefonata col figlio in agonia
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Sparato

"Anche se mio figlio avesse avuto un fucile, non è stato lui a sparare. Nulla giustifica la sua morte. Avrebbe potuto avere un bazooka o una canna da pesca, ma nulla cambierà quello che è successo. Ora, voglio soltanto giustizia". E' distrutto Enea Labolani, papà di Nathan, il ragazzo ucciso in un incidente di caccia, ieri pomeriggio, ad Apricale, in provincia di Imperia.

L'intervista al padre

"Da quando ha compiuto diciotto anni, gli ho sempre detto: 'devi essere responsabile delle tue azioni - prosegue il genitore -. Non so se quell'arma che hanno trovato fosse davvero la sua, io certamente non sapevo che mio figlio la detenesse, ma ciò non cambia la realtà dei fatti ovvero che è stato ucciso un ragazzo con la vita ancora tutta davanti". Enea non si è mai interessato di caccia, a differenza del padre (il nonno del ragazzo), che tuttavia teneva i fucili chiusi a chiave col lucchetto.

L'appello al cacciatore

"A quel cacciatore dico che avrebbe dovuto accertarsi che dietro a quel cespuglio si nascondesse realmente un cinghiale, visto che la vegetazione è molto folta e non si può capire soltanto dal rumore. Dicono di aver gridato le frasi di rito che i cacciatori urlano solitamente prima di sparare, tipo 'Chi va là' o 'Chi c'è là', per essere sicuri che non ci siano persone nei dintorni, ma come facciamo a sapere che è vero? Soltanto i due cacciatori che partecipavano alla battuta e mio figlio potevano saperlo".

E ancora.

"Si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Se soltanto fosse stato a una decina di metri di distanza, il suo rumore tra le fronde, si sarebbe confuso con quello del fiume e del vicino sentiero e nessuno si sarebbe accorto di lui". Enea aveva appena finito di fare colazione a Isolabona, poco prima delle 8 e stava tornando nella vicina Apricale per recarsi al lavoro, quando strada facendo: "Mi hanno superato un mezzo dei vigili del fuoco e i carabinieri. Arrivato in paese ho visto sulla strada un cacciatore mio amico a cui ho chiesto cosa fosse successo. Mi ha risposto che era stato appena ucciso un ragazzo in un incidente di caccia. Sapendo che mio figlio frequenta spesso quella zona, dove porta il cane a passaggio o va a funghi, l'ho chiamato: una, due, tre volte.

Il dolore al telefono

Alla terza mi ha risposto, gridando: 'Papà, papà, mi hanno sparato nella pancia; mi hanno sparato nella pancia. Poi ha riattaccato, probabilmente stava troppo male. Quel colpo lo ha passato da parte a parte". A quel punto, Enea comincia a correre verso il sentiero: "I carabinieri mi hanno fermato a una ventina di metri. Sentivo il dottore gridare: 'Nathan, respira, rispondimi'.

Ossigeno, ossigeno

E poi: 'Ossigeno, ossigeno'. A quel punto non potendo scendere sul posto a vedere mio figlio, ho preso il suo cane (Mascia, ndr) e sono tornato sulla strada". Sull'ipotesi che stesse partecipando a una battuta di caccia con qualcuno delle due squadre, il padre commento: "Ritengo di no. Mio figlio era un solitario. Non ero a conoscenza del fatto che avesse un'arma, ammesso che quella trovata fosse la sua". Un'ultima cosa recrimina il papà di Nathan: "non solo chi ha sparato, ma nessuno dei cacciatori, anche chi conosco in paese, ha avuto il coraggio di farsi sentire, di alzare il telefono".

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