Rischia di morire di Covid l'insegnante e attore teatrale 48enne Davide Barella
"Le allucinazioni, gli animali che la notte ti mangiano la faccia. La paura di morire, poi la voglia di morire. La corsa in ospedale, la polmonite"
"Questa non è una battaglia, questa è una guerra"
"Questa non è stata una battaglia. Questa è stata la guerra. Otto giorni di sorveglianza medica domiciliare, il degenerare, la febbre a 40, il respiro che non si chiude più. Le allucinazioni, gli animali che la notte ti mangiano la faccia. La paura di morire, poi la voglia di morire. Il limite. La corsa in ospedale, la polmonite interstiziale, i dolori in ogniddove, la recidiva del morbo di Crohn". Inizia così il drammatico racconto di Davide Barella, attore teatrale e insegnante di Ventimiglia, che racconta la propria terribile esperienza con il Coronavirus.
Undici flebo al giorno, un ciclo aggressivo di farmaci
"Undici flebo al giorno - prosegue - un ciclo violento aggressivo di farmaci, le braccia che sono un colabrodo di ematomi. Dopo una settimana di combattimento senza pietà ecco la crisi più dura, vegliato da Miriam fino alle 4 e mezzo del mattino, mi ha tenuto la mano, alla quarta flebo coi granuli sotto la lingua coi medici di guardia a pilotare quello che da protocollo è stato il tentativo del virus di difesa estrema".
Una battaglia durissima, in cui Barella ha rischiato la vita
"In quel momento ho pensato, sì, lo confesso, vaffanculo, non vedrò mai più mia figlia e mia moglie, il mio nipotino. Game over, fine di tutto. Suggestioni anche di un anno di terrorismo mediatico e psicologico. Ansia, retorica, paura, e un male che non può essere descritto a parole.
Finalmente, superata la fase critica, c'è la lenta ripresa.
"Poi la ripresa, flebo dopo flebo, tanto cibo buono, tante proteine, i miei compagni di stanza, centinaia di messaggi e telefonate, affetto, amore, amicizia, tutti i giorni. Due settimane in isolamento dal mondo, sigillato in una stanza con le sbarre, poca aria, tanto neon, fuori da tutto. Medici, infermieri, oss. Quanti amici, quante palle a spigoli, che carattere. Gente con un cuore enorme, gente che se l'è fatto il virus, soffrendo come me. Più di me".
Conclude: "Non è finita. Ora sono finalmente a casa e dovrò fare dieci giorni di terapia a scalare, sotto sorveglianza, poi ricontrollare tutto e revisionare i polmoni malconci. Da malato cronico ne ho vissute tante, ho nuove cicatrici interne e una testa da ricostruire, perché saltano pure le rotelle. Per il momento, caro microbo cinese di merda, hai perso. Magari alla fine la guerra la vinci tu, ma per ora sono qui, e a farti fottere vai tu, è il tuo turno".