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Freni alla moda ligure, tra pandemia, guerra e rincari

I filati aumentano del 20% mentre le sanzioni penalizzano l'export con la Russia. Ecco i dati dell'indagine .

Freni alla moda ligure, tra pandemia, guerra e rincari
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Prima l'impatto del Covid che ha affossato il fatturato del 2020, poi i rincari dei prezzi di energia e delle materie prime. Ora la guerra in Ucraina, con le conseguenti ripercussioni sull'export (la moda è il secondo settore per esportazioni in Russia, con vendite nel 2021 pari a 1,346 miliardi di euro, il 17,5% del totale, dietro ai macchinari e apparecchi per 2,147 miliardi, il 27,9% del made in Italy verso il Cremlino). Sono tutti fattori che stanno mettendo a dura prova la ripresa della moda a livello nazionale, e anche in Liguria.

 

Moda ligure in crisi

A Genova le microimprese artigiane della moda sono 208, con 462 addetti. A Savona se ne contano 56, con 102 addetti. Nello spezzino le microimprese del settore sono 43 e danno lavoro a 96 persone, mentre nell'imperiese troviamo 33 micro e piccole realtà artigiane e 60 addetti.

Il momento non è semplice, ma c'è chi resta ottimista e prova a reagire, incrementando le azioni promozionali e provando a essere più presente sul mercato: «Il 2020 è stato molto impegnativo: avevamo già consegnato la collezione, ma con i negozi chiusi in tutto il mondo molti clienti l'hanno resa o hanno chiesto degli sconti – ricorda Fiorella Ghignone, responsabile settore Moda di Confartigianato Genova e titolare di Liapull, piccola impresa manifatturiera genovese specializzata nella lavorazione del cashmere e di abiti di alta moda – Abbiamo reagito facendoci trovare pronti, nel 2021, con la nuova collezione e tutti gli strumenti virtuali necessari a promuoverla».

 

Le fiere in presenza

Il ritorno delle fiere in presenza è uno dei pochi segnali positivi, che può anche contribuire a rilanciare gli interscambi con l'estero: «Ritrovare i propri clienti è importante per ristabilire rapporti e
contatti, così come è accaduto per noi la scorsa settimana alla Parigi Fashion Week – spiega Ghignone – Alla manifestazione c'erano gli statunitensi, ma ovviamente mancava tutta la clientela russa e quella del Far East, nuovamente bloccata per il Covid, anche se non se ne parla: la fiera di Shanghai, Chic 2022, in programma dal 25 al 29 marzo, è stata rimandata a data da destinarsi».

 

In particolare, l'export totale del settore moda regionale, pari a quasi 83 milioni di euro tra il primo e il terzo trimestre 2021, ha recuperato il 6,2% rispetto allo stesso periodo del 2020, ma deve ancora colmare un gap del 15,8% sul 2019. A Genova, 56,6 milioni di euro di export, la variazione sul 2019 è del -17%, mentre sul 2020 il settore ha recuperato quasi il 20%. La Spezia è messa peggio: 15,8 milioni di export nei primi tre trimestri del 2021, in calo, rispettivamente, del 26,9% e del 17,2% sul 2020 e sul 2019. A Imperia e Savona i numeri sono più contenuti, con
trend che seguono ritmi opposti: 5,4 milioni di export nel savonese (+5,7% sul 2020, +51,8% sul 2019), oltre 4,8 milioni nell'imperiese, in crescita del 27,6% sul 2020, ma ancora in calo del 33,7% sul 2019.

 

L'export con la Russia

L'esposizione del settore verso il mercato russo è di circa 5 milioni di euro sugli 83 milioni dei primi 9 mesi 2021. Un valore quasi totalmente concentrato in una provincia, quella spezzina, che fa viaggiare verso Mosca prodotti per quasi 4,2 milioni di euro. Seppur con numeri decisamente inferiori rispetto ad altri “colossi” della moda italiana, come Fermo, Milano e Reggio Emilia, La Spezia si colloca comunque tra le 40 province maggiormente esposte su questo mercato. «La Russia rappresenta una fetta importante di fatturato del settore – conferma Ghignone – Noi
abbiamo ad esempio un cliente che, da solo, pesa per il 5% sui ricavi totali. Avevamo già messo in produzione degli ordini, ma con lo scoppio della guerra abbiamo dovuto sospendere tutto: l'auspicio, soprattutto per le drammatiche conseguenze umanitarie di questo conflitto, è che si arrivi presto a una tregua e a un accordo diplomatico».

 

Tra le conseguenze della guerra, anche un inasprimento dei rincari di materie prime ed energia: «I filati stanno registrando rincari medi compresi tra il 15 e il 20% – sostiene Ghignone – Lana e cashmere, in particolare, sono saliti del 20%. Nel nostro settore incidono anche gli aumenti dei costi di tintoria, intorno al 10%. E poi, come per tutto il manifatturiero, l'aumento dei prezzi dell'energia, stimati intorno al
+150%».

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