Matteo Arnaldi, confessioni di un talento. Il sanremese domani in finale con Bellucci a Saint Tropez
"Ero minuto, più debole dei miei coetanei e mi sono allenato duro per stare in campo più a lungo. Ora che sono 1,85 e il fisico si è strutturato arrivano i risultati"
Il tennista sanremese Matteo Arnaldi, 21 anni, fresco finalista al Challenger Atp 100 di Saint-Tropez (domani la sfida con l'altro talento italiano Mattia Bellucci, suo coetaneo di Busto Arsizio che oggi ha sconfitto l'austriaco Jurij Rodionov) si è raccontato in un post a cuore aperto pubblicato sulla pagina Instagram “Behind The Racquet” di Live Tennis. Arnaldi, con la finale conquistata oggi a Saint Tropez è virtualmente n° 141 del mondo (era 154° fino a lunedì) e può salire ancora in caso di vittoria. E' il caso di ricordare che Arnaldi un anno fa era oltre l'800esima posizione mondiale.
Matteo Arnaldi: "Le cose belle arrivano dal duro lavoro"
“Non mi piace usare la parola ‘spaventato’ - ha esordito Arnaldi sulla Behind The Racquet - perché molte cose possono succedere in una carriera da tennista. Cerco solo di migliorare ogni giorno e di dare sempre il mio meglio. Credo che le cose belle arrivino attraverso il duro lavoro e la dedizione. È normale avere i propri obiettivi e non è sempre facile raggiungerli. Alla fine della mia carriera voglio potermi guardare indietro consapevole di aver fatto tutto quello che potevo, senza rimpianti”.
Il primo torneo in Georgia, i primi punti
“Il mio primo torneo internazionale da junior è stato in Georgia e quello è stato anche il mio primo volo verso un torneo da solo. Sono arrivato lì senza sapere l’inglese e cercando di ottenere i miei primi punti ITF. Sono tornato a casa con molti punti e ho iniziato a partecipare ai tornei in Europa. È stato in quel momento che ho iniziato a credere che il tennis potesse essere il mio “lavoro” per il resto della mia vita”.
Lo sviluppo fisico tardivo, le difficoltà a 13-14 anni
“Ho avuto un momento difficile quando avevo circa 13-14 anni, perché mi sono sviluppato molto tardi. Gli altri giocatori erano molto più grandi di me, ed era qualcosa contro cui ho lottato. Non essendo sviluppato fisicamente come gli altri, in campo mi sentivo un piccoletto, quello senza forza”.
“Sebbene sia stato difficile, ho cercato di spostare la mia attenzione su altre cose, come lavorare più duramente degli altri per poter rimanere in campo più a lungo. Sentivo che concentrare la mia attenzione su ciò che potevo controllare mi avrebbe aiutato a compensare la debolezza del mio fisico minuto e la scarsa potenza. Questo ha finito per aiutarmi anni dopo, quando sono cresciuto fisicamente, infatti ho raggiunto un’altezza di 185 cm. Ora che ho un corpo da atleta, sono in grado di utilizzare ciò su cui mi sono concentrato in passato come vantaggio nelle partite e nelle situazioni difficili”.
Cerco di rimanere con i piedi per terra; quel che accade in campo resta in campo
“Ora che sto ottenendo buoni risultati rispetto a due anni fa ho cercato di non cambiare il mio atteggiamento, cerco di rimanere con i piedi per terra su ciò che sto diventando in campo. Per me, quello che succede in campo resta in campo. Se vinco sono super felice e forse più amichevole di quando perdo, ma cerco sempre di essere me stesso e di non lasciare che i risultati influiscano sul mio atteggiamento”.